mercoledì 25 febbraio 2015
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Se il modo di raccontare delle storie è fra le spie della pasta profonda di un’epoca, cosa potrebbe mai indicare il successo delle nuove serie televisive «d’autore» nordamericane e no, dove è sempre più frequente l’enfasi sull’amoralità o sull’immoralità dei protagonisti? Ad indagare in modo inedito su questo tema è stato l’esperto francese di mass media e narratologia Vincent Colonna, che Oltralpe ha appena pubblicato L’arte delle serie televisive. L’addio alla morale (Payot), secondo volume di una riflessione cominciata nel 2010.Sfidando lo snobismo ancora diffuso che spinge tanti intellettuali a disdegnare per principio le narrazioni destinate alla televisione, Colonna illustra così i pilastri del suo ragionamento: «Come nel mondo antico, abbiamo ancora bisogno della narrazione e dei racconti, anche se l’intellighenzia europea sembra spesso dimenticarlo, o comincia solo a ricordarsene. Ora, questi racconti, lo si voglia o no, hanno sempre una problematica morale. Un racconto è costruito su personaggi che fanno delle scelte, le quali implicano sempre una certa morale. A partire da questo, mi sono chiesto quale mondo illustrano queste nuove serie». E in proposito, la disamina di decine di opere televisive degli ultimi anni, secondo Colonna, mostra un punto chiave: «Come sempre, l’uomo non può di certo privarsi di divieti. Ma queste serie mostrano dei divieti non più dettati dalla coscienza morale, bensì semplicemente dalle leggi e dal fatto di conoscerle. Si osserva uno slittamento morale, e dunque pure politico, essendo queste due sfere intimamente legate».Per l’autore, un caso emblematico di questa tendenza è rappresentato da House of Cards: «È una serie estremamente cinica e dura sul mondo politico americano. Non ci sono personaggi per controbilanciare il protagonista intriso da un cinismo assoluto. È l’apoteosi di un mondo politico dove tutti sono mossi solo dall’interesse individuale e neppure lontanamente da quello pubblico. Insomma, una serie dominata da uno sguardo senza speranza sulla politica, decisamente più fosca ad esempio de Il trono di spade, dove sopravvive l’ombra di pulsioni positive e un certo equilibrio fra i personaggi».Secondo Colonna, si tratta forse pure di una sorta di piega imprevista presa da una vecchia tendenza: «Tutte queste serie, come avviene generalmente anche nelle telenovelas, hanno tradizionalmente una funzione critica, in particolare contro gli abusi di potere e il prestigio delle grandi famiglie ricche. Smontano o passano al setaccio universi, ceti sociali, professioni».Le strade narrative per approdare all’amoralità e alla cattiveria ostentata possono essere diverse, ma seguono pure dei canovacci ricorrenti: «Ad esempio, sono frequenti i personaggi ordinari che, in determinate circostanze, sprofondano nell’illegalità. E per sopravvivere in questi nuovi panni, diventano veri gangster senza fede né legge. Si prenda il caso di Breaking Bad, storia di un insegnante di chimica che diventa trafficante di droga». Un altro filone è quello delle serie «centrate su determinati milieu spietati in cui i protagonisti, per sopravvivere, devono diventare anch’essi estremamente violenti, come I Soprano o Il trono di spade».In passato, ricorda Colonna, la seduzione del Male aveva guadagnato la ribalta solo nel quadro di frange di letteratura élitaria, mentre la tendenza attuale, senza precedenti, mostra un innesto nelle strutture narrative della cosiddetta «cultura popolare»: «Dalle tragedie greche fino ai feuilleton televisivi tradizionali, non si sono mai visti eroi totalmente negativi e cattivi. Per la prima volta, serie d’autore conducono gli spettatori ad entusiasmarsi per un eroe negativo. Assistiamo dunque all’emergere di un nuovo codice narrativo, anche se le serie tradizionali virtuose continuano a dominare sui maggiori canali in chiaro, siano essi pubblici o privati. Ma le serie d’autore negative, predilette dai canali a pagamento, non sono più un fenomeno per pochi, dato che ormai le guardano milioni di persone».Colonna non si considera un filosofo o un antropologo patentato, ma non esita a citare grandi nomi del passato, da Freud a Lévi-Strauss, per suggerire «l’ipotesi che possa esserci dietro una mutazione in corso della coscienza morale». A livello planetario, il modello delle telenovelas (centrate su storie familiari intrise di morale) resta dominante e riguarda «all’incirca il 75% dell’umanità», ricorda l’autore, che in proposito sottolinea pure «una sorta di curioso chiasmo: i Paesi dove il diritto è ancora debole o in fase di consolidamento, offrono spesso narrazioni televisive con una dominante morale, mentre in quelli con sistemi giuridici più consolidati e persino pervasivi, come gli Stati Uniti o i nostri in Europa, affiora prepotentemente il filone iperindividualista e immorale. Il legale e l’illegale prende il posto del Bene e del Male».
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