Fermo immagine dal video di Ragnar Kjartansson Me and My Mother (Io e mia madre).Si parte dagli ultimi anni dell'800, esattamente dal 1897. C'è l'archivio di Olga Fröbe-Kapteyn, che dagli anni Trenta, per tutta la vita, ha raccolto migliaia di immagini femminili di madri, matrone e divinità preistoriche, che hanno inciso sull'archetipo junghiano della "grande madre". Fa effetto la foto di Freud (la pubblicazione dell'Interpretazione dei sogni, che ha cambiato per sempre la percezione della relazioni familiari, è proprio del 1897) in posa accanto alla madre Amalia. E fanno sorridere le opere di Umberto Boccioni: il campione del Futurismo passava la vita a ritrarre la madre (immagine qui sotto). C'è, poi, il tema della morte della madre. E quello della maternità mancata e della fisicità tormentata di Frida Kahlo, nella famosa Cerva ferita (The Wounded Deer, 1946).
C'è la voce delle Madri di Plaza de Mayo, lo sguardo aggrottato puntato oltre la macchina della Migrant Mother, di Dorothea Lange (1936), iconica madre migrante con il figlio addormentato in braccio. Ci sono i manifesti abortisti degli anni Sessanta e Settanta ma c'è anche la gioia della maternità nell'installazione vivente di Roman Ondák, in cui la madre insegna a camminare al proprio figlio.
Migrant Mother (Madre Migrante). Dorothea Lange, 1936.
Tanti gli sguardi delle donne sulle donne (Benedetta, Regina Rosa Rosà, Catherine Opie, Marisa Mori, Pipilotti Rist, Rineke Dijkstra, Ana Mendieta). «È una mostra non solo sul potere generativo e creativo della madre, ma soprattutto sul potere negato e sul potere conquistato dalle donne nel corso del secolo - prosegue Gioni -. L'arte e cultura hanno spesso posto al centro la figura della madre, come simbolo della creatività e metafora della definizione stessa di arte».
Gillian Wearing, SelfPortrait as My Mother Jean Gregory (Autoritratto come mia madreJean Gregory), 2003.
La rappresentazione non è univoca, nè senza eccessi. «L'influenza della psicanalisi, la rivoluzione delle avanguardie, l'accelerazione della tecnologia, le politiche totalitarie e le lotte del femminismo sono alcune delle profonde trasformazioni sociali che hanno investito la sfera della maternità e della famiglia». Raccontare l'inconografia della maternità porta quindi a parlare «anche di padri - troppo spesso padroni - , di stato e di nazioni», conclue Gioni. Si tocca anche il rapporto con la religione, riflettendo sulle relazioni che legano immagini, religione e potere. Non si salva dalla manipolazione dell'arte moderna nemmeno l'iconografia mariana, restituendo una Madonna lontana dal sentimento popolare. La trasversalità culturale delle opere in mostra è annunciata dalla straniante immagine di copertina della guida: l'autoritratto dell'artista britannica Gillian Wearing nei panni della propria madre.
Nicholas Nixon. Due foto della serie Le Sorelle Brown - The Brown Sisters.
La preparazione della mostra è durata due anni. Pochi
giorni fa Massimiliano Gioni è diventato padre. «Se Giacomo fosse nato
prima? Forse la rappresentazione sarebbe stata meno ruvida», ha ammesso,
sottolineando come la mostra includa, senza censure, la diversa esperienza che ciascuno può fare della maternità. L'arte aiuta nel percorso di ricerca interiore e di interpretazione. E le diverse arti, conclude il curatore, «sono qui viste in un rapporto di sorellanza, non di conflitto». Su tutte, emerge la fotografia: tra le tecnologie del '900, è di tutte la «grande madre».
Lucio Fontana. Concetto spaziale. Natura (1959-1960)
Una mamma insegna a camminare al proprio figlio: parte della performance di Roman Ondák.