«Ogni tanto mi domandano a quale titolo i vescovi si occupano di famiglia. Perché, rispondo io, credete che i vescovi siano caduti dal cielo? Non sono forse nati e cresciuti in famiglia anche loro? Non ne conoscono la bellezza?». Siamo alle prime battute e già il silenzio del Duomo di Pordenone è incrinato dal sorridente brusio del pubblico, giunto numerosissimo ad ascoltare il cardinale Walter Kasper, alla sua prima uscita pubblica dopo il Sinodo straordinario sulla famiglia. L’occasione è offerta dall’ormai tradizionale serie di incontri promossi ogni autunno in città dalla Libreria Editrice Vaticana, e questo con il “teologo della misericordia” è uno degli appuntamenti di maggior richiamo. Il titolo dell’incontro, “La famiglia nell’amore coniugale”, si richiama direttamente ai lavori del Sinodo, ma a colpire è anzitutto il clima. Familiare, appunto. Dopo il breve saluto del vescovo di Concordia-Pordenone,
monsignor Giuseppe Pellegrini, la parola passa al direttore di “Avvenire”, Marco Tarquinio, al quale è affidato il compito di dialogare con il cardinale. Si parte dal Sinodo appena concluso, ma è subito evidente che lo sguardo è rivolto all’anno prossimo, quando si svolgerà il Sinodo ordinario (è Kasper stesso a sottolineare l’aggettivo) al quale è demandato il compito di decidere. «Finora ci siamo confrontati in modo libero e franco – ripete il cardinale – come ci aveva chiesto il Papa. È stata, anche per questo, un’esperienza eccezionale, preceduta da una consultazione delle Chiese locali che non ha precedenti nella storia. Adesso, a maggior ragione, la discussione si sposta nelle diocesi, nelle parrocchie. Non ho il dono della profezia, ma sono sicuro che da qui a un anno si arriverà a stabilire un consenso molto ampio sulle decisioni da prendere. Già in questo momento, del resto, mi pare di scorgere alcune indicazioni molto precise». Per il cardinal Kasper non si tratta di una situazione del tutto inedita. «Sono abbastanza vecchio da avere memoria diretta del Concilio Vaticano II – scherza – e anche allora ci fu un confronto molto serrato. Ma quel dibattito non danneggiò la Chiesa. Al contrario, la aiutò a rispondere in modo più profondo ai bisogni dell’uomo moderno». Kasper alterna raffinate analisi dottrinali a confidenze su di sé. Sulla sua famiglia, anzi. «Quando ci riferiamo al concetto di “Chiesa domestica” – osserva – richiamiamo un principio che risale direttamente al Nuovo Testamento e che ancora oggi è vivo in tante parti del mondo, specie dove la fede è perseguitata. Io stesso ne ho fatto esperienza durante la mia infanzia in Germania: c’era il nazismo e la mia prima catechista è stata mia madre, da lei ho imparato le preghiere. Non ho scoperto la fede studiando le encicliche e il magistero, sapete. La fede mi è stata trasmessa in casa, come un dono». L’idea che la famiglia sia per l’umanità un’irrinunciabile lingua madre (o
maternale, come Kasper dice con un bel latinismo involontario) è l’elemento centrale nella testimonianza offerta dal cardinale. Che torna sul prediletto tema della misericordia («È il cuore del Vangelo – afferma –, non un’invenzione di papa Francesco. E non è, in ogni caso, una soluzione a buon mercato. Semmai, è ciò che impedisce alla dottrina di richiudersi in forme astratte, rendendo possibile un percorso che parte dalla concretezza della vita quotidiana»), ma non rinuncia a esprimersi con chiarezza sulle derive della contemporaneità: «La famiglia appartiene al disegno di Dio – scandisce – e alla Chiesa non può essere impedito di alzare la voce in difesa di questo disegno, che oggi è minacciato da forze, anche economiche, che vogliono accelerarne la dissoluzione». E la questione dei divorziati rispostati? «La dottrina è fuori discussione – ribadisce il cardinale – e le soluzioni pastorali andranno valutate caso per caso, studiando con attenzione ciascuna situazione particolare. A una realtà tanto complessa non si può applicare una regola generale». La risposta più apprezzata, in ogni caso, rimane quella sul ruolo della donna nella Chiesa. «Semplice – ammette Kasper –: se non ci fossero le donne dovremmo chiudere tutte le parrocchie».