Odoardo Focherini - -
Il volume di Giacomo Lampronti, Mio fratello Odoardo. Una biografia di Focherini (Edb, pagine 216, euro 17,50) disponibile anche in ebook, sarà presentato in diretta sui social delle Dehoniane il 26 gennaio alle ore 18. All’iniziativa, nata dalla collaborazione fra diocesi di Carpi, Fondazione Fossoli e Avvenire, saranno presenti: monsignor Erio Castellucci, vescovo di Modena-Nonantola e di Carpi, Pierluigi Castagnetti, presidente della Fondazione Fossoli, il direttore di “Avvenire” Marco Tarquinio e padre Pier Luigi Cabri, direttore di Edb. Qui sotto un estratto della prefazione di Tarquinio. Il libro racconta in prima persona la vicenda di Lampronti, ebreo convertito al cattolicesimo, legata a quella dell’amico Focherini, nel periodo delle leggi razziali e della guerra.
Giacomo Lampronti - -
Odoardo Focherini è il primo e unico giornalista italiano a esser stato riconosciuto beato, vittima di letale persecuzione «in odium fidei». Ecco perché riguarda soprattutto noi che frequentiamo le pagine scritte e di esse viviamo. Non solo giornalisti e lettori che tengono caro il loro essere cattolici, ma chiunque faccia il nostro mestiere e di esso si fidi. Tutti, nessuno escluso, anche coloro che di un cronista santo non sanno che pensare e, forse, che farsene. Odoardo Focherini è un esempio, limpido e potente. Di quelli che scomodano e mettono in crisi coloro che progettano e fanno i giornali, ma li riempiono anche di allegria, perché sono la prova che non è affatto vero che cinismo, sentenziosità astratta e conformismo siano la misura o il compromesso inevitabile del giornalismo. Focherini il giornalismo lo amava così tanto che si fece (non è stato il primo e non sarà l’ultimo) anche amministratore dell’"Avvenire d’Italia", perché quel quotidiano bolognese d’ispirazione cattolica – che assieme all’"Italia" di Milano avrebbe poi generato nel 1968 "Avvenire" – fosse nelle condizioni di tenere il campo e di far sentire sempre la propria voce. Ma aveva chiaro in modo così profondo il dovere di un giornale che, fianco a fianco col direttore Manzini, non accettò mai di andare in edicola a ogni costo, se questo avesse significato chinare schiena e testa sino a pubblicare notizie e commenti «politicamente corretti » secondo i potenti del momento, ma contrari alla verità e al bene.
"L’Avvenire d’Italia" di Manzini e Focherini, piuttosto che uscire con in pagina ciò che volevano gli occupanti nazisti e i loro alleati fascisti, non usciva proprio. Per questo, dopo la Liberazione, come l’Italia, e a differenza di tante altre testate illustri e meno illustri, poté tornare in edicola con il proprio nome. Questa è stata testimonianza, civilissima resistenza all’oscurità del male, di veri giornalisti. E l’hanno data giornalisti cattolici. Ma c’è uno straordinario «di più» per noi che facciamo questo mestiere in un tempo che tende ad allontanare (e a incattivire) lo sguardo di chi scrive dalle persone e dalle realtà vere. Odoardo Focherini amava così tanto le ragioni cristiane e umane del suo impegno giornalistico «di prossimità» da non metterle mai tra parentesi. E il «pezzo» più bello della sua vita è quello che non ha potuto mettere in pagina: lo ha «scritto» nei suoi stessi giorni e in quelli delle persone di un’altra fede, di un’altra origine e della stessa umanità che contribuì a salvare dalla follia di una discriminazione assassina.
L’autore di Mio fratello Odoardo – israelita di nascita e cristiano per attrazione e adesione – fu uno di loro. Per questo Focherini venne arrestato e deportato, per una dedizione splendente, annotò Manzini, come la croce di Cristo. Si chinò a tal punto, e con tale rispetto e senso della giustizia, sugli ebrei in fuga dai loro sterminatori da essere, infine, spezzato lui. Era uno sposo e un padre di famiglia, una grande famiglia che amava teneramente, ma non esitò a fare la scelta giusta. E la fece senz’armi, a mani nude, con intelligenza e generosità. Da cristiano. Non c’è nient’altro da fare di fronte alla disumanità, comunque si vesta e si travesta. Anche se sembra dominatrice del presente e si atteggia a padrona del futuro. Il futuro è l’amore, perciò è dell’uomo e della donna e, anzitutto, è di Dio. Beato Odoardo che ce l’ha insegnato, beato Giacomo Lampronti che ha potuto sperimentarlo e ha saputo narrarlo, beati noi se riusciamo a dirlo con le nostre vite, e non ci limitiamo solo a declamarlo.