lunedì 15 luglio 2024
La scelta del New York Times al di là dei meriti letterari ribadisce la centralità del Mezzogiorno nell'immaginario culturale. Ma va sanato il divario tra Sud immaginato e Sud reale
Sul set della serie tv "L'amica geniale"

Sul set della serie tv "L'amica geniale" - Fotogramma

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Sarà che Napoli e New York si trovano più o meno alla stessa latitudine, ma evidentemente la metropoli sull’Atlantico serba in sé un desiderio struggente di Mediterraneo, che è nel DNA di molti americani discendenti della diaspora italiana e in special modo meridionale.
Di là dal rilievo letterario, parla di questa “nostalgia” la notizia per cui secondo il “New York Times” è L’amica geniale di Elena Ferrante (2011) il libro più importante o più bello degli anni Duemila. A designarlo tale in una classifica di cento titoli è stata una prestigiosa giuria di autori e personalità fra cui figurano Stephen King e Jonathan Lethem, per fare solo un paio di nomi. Il primo romanzo della tetralogia dedicato all’amicizia tra le protagoniste Elena (Lenù) e Raffaella (Lila), in un quartiere della periferia napoletana negli anni Cinquanta-Sessanta, viene considerato «uno dei principali esempi della cosiddetta autofiction, una categoria che ha dominato finora la letteratura del XXI secolo».
La scelta suggella il successo mondiale della misteriosa Ferrante, lievitato grazie alle serie televisive tratte dai suoi libri, e delle edizioni e/o di Sandro Ferri e Sandra Ozzola che hanno dato vita Oltreoceano alle Europa Editions pubblicando L’amica geniale in inglese.
Secondo il quotidiano statunitense, «leggere questo romanzo indimenticabile e senza scorciatoie è come andare in bicicletta sulla ghiaia: ruvido, scivoloso ed esasperante». Bicicletta e ghiaia dicono già molto dell’Italia post-bellica, povera ma bella, sconfitta ma tenace. Un’Italia che viene identificata tout court con una parte del Paese, in questo caso Napoli.
Del resto, la fortuna del Mezzogiorno nell’immaginario collettivo non solo nazionale è un dato culturale innegabile almeno da trent’anni in qua. Sono innumerevoli gli esempi di romanzi, film, spettacoli teatrali e canzoni di successo i cui autori o la cui pregnanza narrativa sono meridionali.
Pensiamo ad Andrea Camilleri, di cui nel 2025 ricorrerà il centenario della nascita, che ha coniato una sorta di neo-lingua italo-sicula nella saga di Montalbano, nonché ai best seller di Gianrico Carofiglio, Giancarlo De Cataldo, Donatella Di Pietrantonio, Nicola Lagioia, Maurizio De Giovanni, Stefania Auci, Gabriella Genisi, Francesca Giannone...
Ma anche ai film che hanno vinto i premi Oscar, da Mediterraneo di Salvatores a Nuovo cinema Paradiso di Tornatore, dal Postino con Massimo Troisi alla Grande bellezza di Paolo Sorrentino, fino a Io capitano di Garrone con il suo drammatico epilogo mediterraneo, che nei mesi scorsi ha gareggiato per la prestigiosa statuetta. E a brani celebri quali Caruso di Lucio Dalla o Napule è di Pino Daniele.
La dimensione metaforica del Sud come pausa e sogno (o incubo) di tutti è cresciuta di pari passo con l’impallidimento della “questione meridionale” per come era stata formulata e perseguita dalle élite italiane lungo il Novecento.
Il bisogno di colmare lo storico divario economico e sociale del Mezzogiorno rispetto al Centro-Nord del Paese è via via diventato marginale e per certi versi fastidioso o noioso. Da una parte, quindi, l’immaginario con le sue icone di massa, non esclusa quella Gomorra che a partire dal libro di denuncia di Roberto Saviano rischia suo malgrado di alimentare una nuova condanna per il Sud (la questione meridionale ridotta a mera questione criminale).
Dall’altra, la realtà dell’arretramento economico del Mezzogiorno, cui si imputano l’incapacità di autogoverno e il deficit di spesa dei contributi straordinari o dei fondi europei, spesso omettendo che le risorse ordinarie e le condizioni infrastrutturali “di partenza” erano e sono decisamente meno favorevoli. Il che non deve esimere da una critica delle classi dirigenti locali, la cui reazione a tale scenario è stata a volte all’insegna del populismo o del trasformismo, caratteri che risospingono il Sud nella marginalità.
Festeggiamo dunque l’ennesimo successo di Ferrante, ma oggi più che mai vi sarebbe la necessità di determinare un nesso fra la centralità del Sud immaginario e il riscatto del Sud reale, fuori da ogni nostalgia edenica o descrizione “infernale”. Perché se è vero che nell’ottica meridiana la vita è destino - «Venni messo a metà strada fra la miseria e il sole» (Albert Camus) - il tema più autentico resta andare oltre la miseria.


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