venerdì 12 settembre 2014
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«La trattativa ci fu eccome. Con al primo punto un'intesa tacita. Che non dovesse esserci alcuna trattativa». Maurice Bignami, uno dei leader di Prima linea fu un protagonista di quell'opera sotterranea di dialogo fra politica e terroristi in carcere che portò prima alla consegna delle armi al cardinale Martini e poi al riconoscimento della dissociazione. Perché è una vicenda così poco spiegata e conosciuta? «Perché alle giovani generazioni non è arrivato niente di una stagione di grandi ideali. Che portò tanti di noi a una scelta folle e sbagliata per un'ansia di giustizia mal riposta, certo, ma ora si è buttato via il bambino con l'acqua sporca, l'unica ideologia è quella finanziaria e mercantile e diventa difficile spiegare una vicenda basata sulla gratuità, sulla stima che, da uomo a uomo, potè ripartire anche fra gente che fino a qualche anno prima si era fatta la guerra». Che ruolo ebbe la Chiesa in questo vostro cambiamento? «Fondamentale, fu la gratuità con cui fummo guardati da cappellani come don Salvatore Bussu o da religiose come suor Teresilla ad aprirci il cuore. In loro vedemmo il Padre che abbandona le altre 99 pecore per andare indietro a quella smarrita, cioè noi. Lo dice papa Francesco: "Le misure adottate contro il male non si accontentino di reprimere, ma aiutino anche a riflettere, a essere persone autentiche che, lontane dalle proprie miserie, diventino esse stesse misericordiose". Accadde proprio questo, e la Chiesa divenne il nostro interlocutore naturale. Non in alternativa allo Stato, ma luogo di riconoscimento comune anche per tanti politici che scrissero con noi una pagina bella in cui tutti abbiamo dato tutti il meglio di noi». Ha nomi da fare? «Ricordo Giovanni Galloni. Dopo tre ore di colloquio ci ritrovammo, da nemici, fratelli, uniti da ideali comuni che ora eravamo in grado di riconoscere. Eravamo come meravigliati. "Ma allora non siete quelli che vengono dalla fredda Cecoslovacchia", mi disse, e ci abbracciammo. Ricordo poi Flaminio Piccoli. Luciano Violante. Ricordo infine Mario Gozzini e Carlo Casini che scrissero alla fine la legge che chiuse un percorso. Ma furono in tanti, persino un uomo del Msi, Giulio Maceratini». I pentiti che ruolo avevano avuto? «Avevano consentito allo Stato una prima vittoria militare. Ma senza uscire da quella logica, immaginate che cosa sarebbe stata l'Italia in questi anni con migliaia di persone in carcere ancora a coltivare la follia della lotta armata, in un momento come questo - poi - in cui la crisi alimenta tanta protesta e frustrazione? Dobbiamo tutti capire l'importanza di quanto accaduto, anche le vittime nel nostro cambiamento possono trovare, spero, una loro consolazione. Il sangue versato purtroppo non è recuperabile, ma almeno abbiamo impedito che tanti altri potessero cadere nello stesso errore, guardando a noi come degli eroi indomiti invece che a dei falliti che hanno avuto nella vita, grazie a Dio e a tanti uomini, politici, preti, magistrati, una seconda possibilità, grazie a quei quattro anni straordinari».
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