venerdì 24 luglio 2020
Una mostra ricrea l’esperienza dell’eruzione che devastò Pompei e oltre ai reperti archeologici e artistici presenta un allestimento in 3D dove ogni quindici minuti si rivive il momento dell’eruzione
Uno degli scenari 3D della mostra Pompéi

Uno degli scenari 3D della mostra Pompéi - -

COMMENTA E CONDIVIDI

Come in una macchina del tempo, solo a Pompei si può credere di spiare la vita quotidiana dell’epoca romana. Ma sempre in un modo strano e quasi in punta di piedi. Del resto, alquanto sconvenienti possono suonare persino le parole del grande Goethe, nei panni del visitatore entusiasta del sito: «Di tutte le catastrofi che si sono abbattute sul mondo, nessuna ha procurato tanta gioia alle generazioni future». Una considerazione da cui traspare il rischio di un edonismo intellettuale irrefrenabile fiorito su un luogo eminentemente tragico. Come se persino il più celebre umanista tedesco, una volta a Pompei, condividesse un soffio della cieca avidità dei trafugatori che solevano scavare cunicoli, fra gli strati di lapilli, per impossessarsi di monili e altri preziosi rimasti accanto agli scheletri.

Oltre che una meraviglia senza fine, Pompei resta, duemila anni dopo, un emblema della caducità umana. Assieme a quelle di altri celebri visitatori estasiati dal sito, le parole di Goethe figurano come premessa, e forse implicitamente come monito, della mostra parigina Pompéi, dedicata alle ultime campagne di scavi, piene di scoperte e d’insegnamenti, persino sulla data esatta del cataclisma giunto nel 79 dopo Cristo, con la tesi “autunnale” che prevale ormai sull’altra, quella tradizionale “estiva” basata sulle lettere di Plinio il Giovane. Ospitata sotto le alte volte del Grand Palais, la mostra offre una selezione di opere d’arte e manufatti pompeiani, fra cui un tesoro di monili e amuleti, un coniglio di marmo e un mosaico del ninfeo Arianna e Dioniso esposti per la prima volta in pubblico. Fra i reperti degli scavi precedenti, accanto a mosaici, frammenti di affreschi e raffinati recipienti in bronzo, spicca la statua di Livia Drusilla, sposa dell’imperatore Augusto, proveniente dal peristilio della Villa dei Misteri. Ma il numero di reperti presentati resta relativamente limitato, per lasciare spazio soprattutto a una promenade immersiva che sfrutta sapienti tecnologie 3D. Un approccio che può apparire di primo acchito estremamente moderno, ma che lo è in realtà solo a livello tecnico, ricalcando per il resto un assunto molto classico: che Pompei sia una singolare esperienza dello spirito, ben prima che un sito di rovine, è stato scritto fin dal Settecento da tanti viaggiatori giunti da tutta Europa.

Il rischio di una scenografia e di un’estetica da peplum cinematografico datato è evitato anche grazie a un trucco: ogni quarto d’ora, una rievocazione molto realistica e riuscita della stessa eruzione fatale funge da collante scenografico d’insieme. I visitatori, pur sparpagliati nei diversi spazi dotati di schermi che riassumono ciascuno un aspetto saliente delle recenti scoperte o della storia del sito archeologico, si ritrovano all’improvviso sommersi dall’esperienza grandiosa e funesta che vissero gli stessi pompeiani nelle loro ultime ore: il boato assordante dell’eruzione, prima dell’elevarsi in cielo di una colonna grigia alta 32 km, ovvero una trentina di volte l’altitudine del Vesuvio; poi, la pioggia di lapilli durata 20 ore e, ancor peggio, la rapidissima colata piroclastica lungo i fianchi fin lì verdeggianti e fertili del vulcano. L’invasione visiva e sonora di scorie telluriche sprofonda i visitatori nel pozzo scuro della tragedia pompeiana, già così tante volte evocata in quadri, romanzi, pellicole cinematografiche, fumetti. Risulta allora impossibile osservare in modo neutrale e distaccato i reperti presenti o i brevi documentari dedicati per esempio alle ultime scoperte circa l’alimentazione quotidiana o la simbologia eccentrica rinvenuta nella cosiddetta “Domus di Orione”, alle tecniche di restauro dei reperti e ai quattro diversi stili pittorici pompeiani, alle interpretazioni più recenti circa gli stili di vita, l’organizzazione sociale e le dinamiche urbane quotidiane a Pompei. Se l’effetto d’insieme risulta efficace e istruttivo, lo si deve certamente pure a due fattori. Il primo è architettonico: ovvero, le alte volte del Grand Palais che si dimostrano particolarmente propizie per rendere tutta la verticalità del dramma vissuto a Pompei. Il secondo è umano e scientifico, dato che il commissario della mostra è l’archeologo Massimo Osanna, lo stesso direttore generale del Parco archeologico di Pompei, nonché professore ordinario all’Università Federico II di Napoli.

Parigi, Grand Palais

Pompéi

Fino al 27 settembre

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: