Proprio oggi compie novant’anni Xavier Tilliette, padre gesuita francese, decano dei filosofi europei. Durante le sue originali ricerche s’è occupato di grandissimi pensatori, primo fra tutti Schelling, del quale non solo resta il maggior conoscitore vivente, ma colui che in assoluto è riuscito a scandagliare i recessi più ignoti, trovando il filo rosso per comprenderne il proteiforme, svettante e abissale pensiero. Ma il più grande filosofo, con cui ha dialogato intimamente e su cui ha scritto lungo tutta la sua vita, educando schiere di allievi - all’Institut Catholique di Parigi e all’Università Gregoriana a Roma - a scoprirne le profondità di interrogazione, è per Lui Gesù Cristo, il Cristo che è intrinsecamente filosofo. E con Cristo filosofo Tilliette sta ancora intrattenendo colloqui riservati, ora che vive ritirato dall’insegnamento e dalle pubbliche discussioni. Fra le sue opere ricordiamo, presso Queriniana,
Filosofi davanti a Cristo (1989) e con Morcelliana
La Settimana Santa dei filosofi (1992),
Il Cristo della filosofia (1996),
L’intuizione intellettuale da Kant a Hegel (2001).Sono andato a trovarlo per rendergli omaggio, compiendo ancora una tappa del nostro dialogico cammino, intrapreso sulle orme di Schelling. Lo distolgo per qualche ora dalla meditante preghiera che sempre più sembra rapirlo. Ma per lui il colloquio filosofico rasenta spesso quello con Dio, entrambi altamente interrogativi.
Vorrei partire dalla "cristologia filosofica", il tema su cui lei ha più insistito nelle sue ricerche, essendone anche il primo formulatore...«Il Cristo nella filosofia è una scoperta mia. C’è un Cristo teologico comprensibile solo con tutta la riflessione della filosofia anteriore, con una determinazione veramente filosofica della presenza di Cristo sia nella cultura sia nella filosofia. È importante non confondere la fede in Gesù Cristo, Dio fatto uomo, con il Cristo della cultura, personaggio storico. Il Cristo della filosofia è già un personaggio della cultura. Si passa da una conoscenza empirica, quasi fisica, accidentale, ad una presenza salda e forte nella filosofia. È questa la mia scoperta, il ruolo capitale di Cristo nella cultura umana e quindi prima nella filosofia».
Lei ha inoltre elaborato una distinzione ulteriore. Innanzitutto si è a lungo occupato dei filosofi che hanno studiato la figura di Cristo anche senza essere cristiani, senza provare la fede, da un punto di vista meramente culturale, cosa importantissima e che nessuno aveva precedentemente fatto, ma poi anche ha fatto vedere come ci sia una cristologia filosofica che in Cristo stesso trova il filosofo: Cristo filosofo, che si interroga e interroga noi, che è filosofo...«Cristo si inserisce nella filosofia come un elemento misterioso ma motore: non solamente un fatto ma anche un atto. Per questo mi sembra che la filosofia, in segreto, sia una cristologia. Ma questo non lo si può dire così, senza ulteriori esplicazioni. Bisogna studiare il ruolo stesso di Cristo nella filosofia, tra i filosofi. L’avevo già fatto all’inizio, ma l’ho tematizzato dopo. I più profondi problemi cristologici appartengono alla filosofia. Come ad esempio la sofferenza. Perché per un filosofo che significa la sofferenza? Poca cosa, un mistero. Ma la filosofia dà la chiave».
La cristologia filosofica ci conduce anche all’escatologia: cosa ne sarà in futuro della sofferenza?«La cristologia filosofica diventa anche una filosofia della sofferenza e inserisce la sofferenza nella stesura stessa della filosofia».
Escatologicamente parlando, della sofferenza ci sarà una memoria, oppure ci sarà soltanto un’apocatastasi che distrugga tutto il negativo?«No, ci sarà la ragion d’essere».
Più volte papa Benedetto XVI ha richiamato con efficacia la questione ecologica, ribadendo l’importanza della riflessione teologica sulla salvaguardia del creato, di fronte alle possibilità incombenti di catastrofi ambientali, che possano risultare naturali o antropiche. Cosa può dire in merito una cristologia filosofica quale lei prospetta, ad esempio richiamandosi a quello straordinario passo di san Paolo (Romani, 8), in cui si parla di «attesa trepidante della creazione» per la redenzione dalla «schiavitù alla caducità» a cui è soggetta la natura stessa?«La negatività, la sofferenza, la negazione, l’ignoranza anche: tutto quello che rimane nella riflessione senza essere realmente assimilato o accettato, tutto questo ricorda il nostro inserimento nel segreto, nel mistero del non conoscibile, concepibile, razionalizzabile. Dobbiamo inserire sofferenza, negazione, male in una forma specifica della filosofia, che è il suo mistero: negativo, non positivo. Questo credo che lo abbiano visto pochi filosofi. I filosofi che indagano la sofferenza, la difficoltà, la pena sono filosofi che appartengono a questa categoria speciale del pensiero, che fa parte della nostra vita».
Un altro grande tema che ha molto approfondito nei suoi studi è quello dell’intuizione intellettuale...«L’intuizione intellettuale è anche l’intuizione della difficoltà, del male, della solitudine. Ho voluto rifarmi a questa zona negativa attorno alla filosofia e anche attorno al segreto, al mistero della vita, dell’esperienza. Credo che il mistero, il segreto, l’ignoto faccia parte della filosofia».
È il culmine del sapere come dotta ignoranza?«O come ignoranza senza essere dotta. Bisogna lasciare alla filosofia qualcosa addosso che fa parte dell’al di qua, in cui essa si trova, con una concezione un po’ pessimista della vita. E vedere la filosofia come una scienza sempre in ricerca, in divenire».