26 agosto 1942, campagna di Russia. Mentre gli alpini dell’Armir rispondono con le bombe a mano all’offensiva sovietica sulla sponda occidentale del Don, un giovane cappellano trentino riesce a comporre queste brevi note per gli anziani genitori: «Babbo e mamma cari, a dir vero non saprei nemmeno cosa scrivervi; perché notizie militari non ve ne posso mandare, e poi le sapete forse meglio di me, e d’altronde la mia vita è sempre quella: in mezzo ai soldati da buon camerata, dividendo con loro le note liete e tristi, ripensando con loro le famiglie e le terre lontane e facendo pronostici per l’avvenire. Il quale avvenire, come sappiamo, è nelle mani di Dio». Nonostante l’autocontrollo, queste lettere scritte dal tenente del 201° Reggimento Artiglieria motorizzato don Onorio Spada e spedite ai genitori ogni tre o quattro giorni dal marzo 1942 al settembre 1943 sono fonti straordinarie e originali. Documentano con freschezza la percezione dei cappellani militari nel compiere la loro missione pastorale al fianco di giovani feriti o moribondi in quella condivisione che si ritrova pure nelle memorie di don Carlo Gnocchi (
Cristo con gli Alpini) o don Carlo Caneva (
Calvario bianco). Accanto a personaggi quali don Rinaldo Trappo, padre Giovanni Brevi e don Enelio Franzoni (ma anche altri cappellani morti al fronte) spiccano ora la tempra umana e la penna poetica di don Spada (Condino 1913 – Trento 1977), che nel secondo dopoguerra sarà poi un leader dell’associazionismo giovanile e universitario. «Al ritorno in Italia don Onorio parlerà di rado della guerra, ma queste lettere affidatemi dal nipote Giorgio Spada ci offrono una significativa pagina, finora sconosciuta, della sua grande testimonianza» osserva Paolo Zanlucchi, curatore del volume
E qui, quando fiorirà la terra? (Edizioni Egon, Rovereto, pp. 148) presentato a Trento nell’ambito della mostra «Ritorno sul Don». Fu don Onorio, anche se gli amici cercarono di dissuaderlo, a insistere per farsi arruolare. Perché? «Aveva appena 29 anni, ma era figlio del suo tempo – spiega Zanlucchi –. Vuole partire, lo scrive lui stesso, per fare qualcosa per il suo Paese e "per compiere un sacro dovere": andare a convertire quelli che all’epoca si chiamavano "i senza Dio". L’esperienza però comporta un’evoluzione morale nell’uomo e nel sacerdote: egli avvertirà che il grande senso religioso della popolazione russa è rimasto intatto, nonostante decenni di regime comunista. Fra le numerose foto da lui riportate, molto indicativa è quella in cui scorgono donne e bambini ucraini assistere alla sua messa al campo». Gode don Onorio nel vedere come i contadini russi colgono stupiti la presenza fra i soldati di un ufficiale «che si veste di camice e pianeta per la messa». Gli capita addirittura d’essere ospitato per qualche giorno da un prete ortodosso nella sua abitazione dal tetto di paglia. «È un buon uomo – annota, raccontando questa esperienza ecumenica ante litteram –, pieno di cortesie per "pater Honorius", come mi chiama lui». Partito con «serena inconsapevolezza», il cappellano corre avanti e indietro dai reparti, è sempre vicino ai suoi ragazzi. Ne coglie gli entusiasmi passeggeri e la spossatezza, avverte la loro richiesta dei sacramenti come viatico di speranza, condivide ogni minuto di… vita. A Ferragosto arriva a rallegrare la giornata organizzando «una rappresentazione all’aperto con teatro e artisti improvvisati». Però quando la prevista «corsa verso il sole» finirà per trasformarsi in una tragica ritirata, il prete con le stellette è chiamato a sostenere, consolare: «Quante Comunioni in questi giorni…», scrive ai genitori, riconoscente per aver scelto un compito prezioso. Molti giovani non hanno fatto ritorno dalle steppe. La meditazione di don Onorio su migliaia di militi ignoti è fissata nella pagina del 19 giugno 1942: «Fermo la macchina vicino ad un piccolo Calvario. Tre croci. Un tenente. Un sergente. Un ignoto. Quell’Ignoto. Passeranno gli anni – riflette poi don Spada – e una Mamma aspetterà sempre, ad ogni sole nuovo che un passo conosciuto si fermi alla porta. Ecco, un bussare timido, e lei corre all’uscio, e apre le braccia… Ma la strada è deserta, e il vento passa col sordo gemito degli autunni, e gli uomini sono indifferenti ombre che vanno. L’annuncio ufficiale martellerà, per anni, nel suo cuore la notifica: "disperso"». Questo fresco epistolario, arricchito da inediti particolari sul «tutti a casa» del settembre 1943 con la consegna delle armi del battaglione alpini Val Cismon a Feltre, rivela la vena poetica giovanile di don Onorio Spada espressa anni dopo in una raccolta di poesie:
Strada rossa. La pubblicazione aiuta a comprendere anche «l’affetto e la devozione che il popolo con la penna nera riserva a questi uomini di Dio», come scrive il presidente nazionale dell’Ana (Associazione Nazionale Alpini), Corrado Perona nell’introdurre il volume.