Alla fine i grandi duellanti di questo anno cinematografico sono sempre loro,
La grande bellezza e
Il capitale umano, che si sono contesi e spartiti da bravi colleghi i David di Donatello 2014. Nove statuette per il primo che si aggiudica la migliore regia, sette per il secondo al quale va però il più prestigioso, quello per il miglior film, dedicato a tutti gli esordienti in gara. Quasi un ex aequo, insomma, per due registi, Paolo Sorrentino e Paolo Virzì, che raccontano un’Italia ferita e tradita, inabissata in un vuoto di valori raccontata con stili e linguaggi diversi, ma capace di smuovere emozioni profonde, inaspettate indignazioni ed entusiasmi che avevamo smarrito dai tempi de
Il divo e di
Gomorra, catturando anche l’interesse del pubblico internazionale.Insieme a chi negli ultimi mesi ha vinto importanti premi nel mondo (Gianfranco Rosi Leone d’Oro a Venezia, Alberto Fasulo Marco Aurelio d’Oro a Roma, Alice Rohrwacher Grand Prix a Cannes, oltre naturalmente all’Oscar a
La grande bellezza) il regista napoletano e quello livornese testimoniano lo stato di salute e di grazia del cinema italiano. Un momento magico ed euforico per la settima arte made in Italy che potrebbe trasformarsi in prezioso carburante per progetti futuri e per riavvicinare il pubblico di casa nostra a un cinema di qualità che non passi necessariamente dalla commedia più scontata e banale. Pioggia di riconoscimenti per gli attori de
Il capitale umano che ha visto premiati Valeria Brini Tedeschi, Fabrizio Gifuni e Valeria Golino, mentre Toni Servillo, assente per impegni teatrali, vince nei panni di Gep Gambardella ne
La grande bellezza. Al film di Virzì vanno anche le statuette per la sceneggiatura firmata dallo stesso regista con Francesco Bruno e Francesco Piccolo, per il montaggio di Cecilia Zanuso e per il sonoro in presa diretta, mentre la pellicola di Sorrentino colleziona premi per la fotografia di Luca Bigazzi, le scenografia di Stefania Cella, i costumi di Daniela Ciancio, la produzione di Francesca Cima e Nicola Giuliani, trucco, acconciature ed effetti digitali. In una serata ancora una volta caratterizzata da tempi eccessivamente lunghi e una conduzione goffa e dilettantesca (palpabile l’imbarazzo in sala e sul palco per le battute goliardiche spesso fuori luogo e le sciocche domande di Paolo Ruffini, bacchettato anche dai colleghi) sono stati numerosi i David Speciali e gli omaggi, come quelli a Carlo Mazzacurati (in sala c’erano la moglie e la figlia che raccolgono l’abbraccio di tutto il cinema italiano) e Riz Ortolani, recentemente scomparsi, a Nino Manfredi e a Francesco Rosi, al quale è stata tributata un’affettuosa standing ovation, come quella che ha accolto anche Sophia Loren, premiata per la sua interpretazione ne
La voce umana presentato all’ultimo festival di Cannes e diretto dal figlio Carlo Ponti. Premi speciali anche a Marco Bellocchio (che lo riceve da Filippo Timi) e ad Andrea Occhipinti, illuminato e coraggioso distributore della Lucky Red. Pif, acclamato neoregista de
La mafia uccide solo d’estate, vince i David per la migliore opera prima e il David Giovani, mentre i film stranieri arrivati sul podio sono
Philomena di Stephen Frears e
Gran Budapet Hotel di Wes Anderson. La colonna sonora e la canzone più belle dell’anno sono quelle di
Song’è Napule dei Manetti Brothers, mentre i migliori documentari sono
37°4S di Adriano Valerio (corto) e il bellissimo
Stop the Pounding Heart di Roberto Minervini che ci ha raccontato alla giusta distanza la vita di una famiglia texana che vive secondo consolidate regole tra Bibbia e tradizioni.