La prima è andata. Male, purtroppo. Una sconfitta con il Bangladesh, non il modo migliore per brindare. Resta l’orgoglio, e il resto della competizione da giocare. Per l’Afghanistan, una prima volta che ha il dolce sapore della storia. Ancor più per un Paese martoriato dagli eventi, distrutto dalle guerre, sempre diviso, tra spinte democratiche e retaggi talebani. Coppa del Mondo di cricket, in Australia e Nuova Zelanda: fra le partecipanti, la nazionale afghana, per la prima volta, appunto. Traguardo di assoluto prestigio, ultima tappa di un lungo viaggio, lastricato di ostacoli. Il cricket, questo sconosciuto, più o meno vent’anni fa. Ora, lo sport più vincente, o giù di lì. In mezzo, una crescita esponenziale, di interesse e praticanti. La passione che nasce, lo sport che si organizza (con la creazione della federazione nazionale, molto giovane, nata nel 1995 ed entrata nell’International Cricket Council solo nel 2001). La nazionale che cresce (nel 2008 giocava contro nazionali come Jersey, in quello che era il quinto livello dell’Icc), fino alla qualificazione al Mondiale, al debutto (sfortunato) a Canberra, dinanzi a uno stadio gremito e a un’audience televisiva (in patria) senza eguali. Un lungo viaggio, che ha in Mohammad Nabi, il capitano, un testimonial d’eccezione. Come tanti compagni di squadra, ha imparato a giocare in un campo profughi, nei pressi di Peshawar, in Pakistan (lì il cricket ha profonde radici, per tradizione), dove la sua famiglia s’era rifugiata ai tempi della guerra con l’Unione Sovietica. Ora, è atleta di livello mondiale, un autentico monumento dell’Afghanistan, “top-scorer” nella sfida con il Kenya dell’ottobre 2013, decisiva per l’approdo alla Coppa del Mondo. «Per noi, è un momento storico: l’intero Paese non aspettava che questo momento». Lo sport, autentico nemico dei Talebani. Per loro, una pratica da vietare, anche con la violenza. Ai tempi di quel regime, atleti malvisti e stadi dismessi, spesso tragico teatro di esecuzioni sommarie. Poi, la lenta ripresa, tra successi e drammi (atleti e dirigenti sportivi fatti oggetto di voli attentati). Progressi costanti, in varie discipline: tra i risultati più importanti, la nazionale di calcio (144ª al mondo secondo le classifiche Fifa) in grado di vincere il South Asian Football Championship 2013 battendo in finale l’India e Rohullah Nikpai capace di conquistare due bronzi olimpici nel taekwondo (a Pechino 2008 e Londra 2012). Altra cosa, però, il cricket, amato da molto, praticato dai giovani, spesso su campi di fortuna, tra fango e immondizia. Lo sport nazionale, secondo qualcuno. Tutt’altro, secondo altri. Per la federazione, il cricket è sport nazionale: «Abbiamo filiali in 33 delle 34 province e il numero dei tifosi sta crescendo in tutto il Paese». Per altri, la distinzione etnica rimane netta: lo giocano i “pashtun”, molto meno gli altri gruppi, a cominciare dai “tagiki”, il secondo più numeroso dell’Afghanistan. E poi, c’è chi lo considera uno sport importato, coloniale, considerata la lunga tradizione che lo lega a Paesi come l’India, il Pakistan, il Bangladesh e altre zone geografiche che hanno subito il dominio coloniale britannico. Del resto, britannico è il coach, Andy Moles, in carica in quello che la Bbc ha definito il più pericoloso lavoro nello sport al mondo. Fosse stato per suo fratello, non avrebbe mai e poi mai dovuto accettare la proposta della federazione afghana: «Lui fa un altro lavoro, sta nell’anti-terrorismo, è per questo che a suo tempo mi sconsigliò di accettare questo ruolo e ancora oggi non è contento di tutto il tempo che passo a Kabul». Il suo predecessore, Taj Malik, è forse l’uomo che ha fornito la maggior spinta alla crescita. Quasi un pezzo di storia (sportiva) afghana, la sua frase, pronunciata nella scena iniziale del documentario Out of the Ashes (un viaggio con la nazionale che tentò, senza riuscirvi, di qualificarsi per la precedente Coppa del Mondo, quella del 2011), mentre il bus della squadra attraversava le disastrate vie di Kabul: «Ci sono tanti problemi nel mondo oggigiorno. Ovunque ci sono conflitti, combattimenti, ingiustizie. La soluzione a tutti i problemi è… il cricket». Non sarà la soluzione a tutti i problemi, resta un grande strumento di riscatto. Il presidente Ashraf Ghani ha chiesto ai giocatori di competere «con il morale alto e fare onore all’Afghanistan, come hanno fatto in passato». La federazione è sicura di avere «il sostegno di tutti gli afghani». La storia sono loro, i ragazzi del cricket.