«Lettere ai cattolici turbati» .
La Croix, il quotidiano cattolico francese, ne ha pubblicate 10 ( firmate da altrettanti personaggi della spiritualità) e ne ha ricevute in cambio diverse centinaia. Non male. E non solo dal punto di vista del riscontro comunicativo, giornalistico; anche come segnale del bisogno della gente, dei credenti cosiddetti « comuni » , di parlare di questi temi un po’ scottanti « a casa loro » , di discutere, confrontarsi, magari solo di sfogarsi – che già è un modo per sentirsi ascoltati. L’iniziativa del giornale d’Oltralpe è semplice ma coraggiosa: di fronte – parole sue – a « una crisi della Chiesa dai molteplici sintomi » ( dai malintesi sui lefebvriani a certi pronunciamenti sull’etica), che non soltanto vede il Papa sotto attacco da parte dei mass media « laici » ma anche un diffuso malessere tra i credenti, il quotidiano ha deciso di prendere il toro per le corna, chiedendo a vari teologi e intellettuali di rispondere al disagio di non pochi cattolici esprimendo la loro sofferente o serena, spontanea o pensosa ma comunque permanente fede cristiana. Mettendo in pubblico insomma il motivo per il quale continuano a fidarsi della Chiesa. Ne è sortito un dibattito a puntate assai ricco, con appendice non meno densa di repliche e aggiunte dei lettori: a ennesima conferma che, anche nelle cose di religione, non tutto il male viene per nuocere. Comincia la filosofa Marguerite Léna, della Comunità Saint- François- Xavier, che a proposito dei vari « scandali » scoppiati ultimamente sulla stampa intorno a parole o azioni vaticane osserva a mo’ di premessa: « Ma basterebbe spiegarsi meglio per dissipare ogni malinteso? Non credo. La parola della Chiesa, anche se pronunciata con umiltà e amore ( o forse proprio per questo), sarà spesso ricevuta con animosità e violenza. Bisogna accettare di essere oggetto di derisione, talvolta di odio; bisogna accettare di non essere capiti. E tuttavia occorre cercare di esserlo... » . Realismo dunque, anzitutto; e un giudizio "spirituale" sugli avvenimenti. Per esempio quello di Timothy Radcliffe, già Maestro dell’ordine domenicano: « Noi restiamo nella Chiesa perché siamo discepoli di Cristo. E, secondo un vecchio adagio latino, unus christianus, nullus christianus: un cristiano isolato non è un cristiano. Una vaga unità spirituale non basta. Noi crediamo nell’Incarnazione, la Parola di Dio che si fa carne » . Impostazione che sembra condivisa dalla teologa moralista nonché religiosa Véronique Margron: « Ritornare ai fondamenti. Abbracciarli. La mia forza oggi è restare ai piedi della croce. Sì, io resto in questa Chiesa, popolo di peccatori dei quali faccio parte » . D’altronde – chiosa l’arcivescovo di Poitiers Albert Rouet « la Chiesa non esiste per piacerci, ma per convertire al Vangelo. E una Chiesa ai quattro venti, grano seminato, sale nella pasta, lievito in azione esiste, continua » . Il canadese Jean Vanier, fondatore della Comunità dell’Arca, addita un esempio: « Certo, ci sono turbolenze nella Chiesa. Ma ogni crisi è un richiamo e un’occasione per collocarsi meglio nel proprio cammino di comunione con Gesù e con i più poveri e privi di mezzi, e con il Papa e i vescovi. Non bisognerebbe che ci fossero sempre più comunità e movimenti che cerchino di vivere non solo i principi morali, ma i principi annunciati nel Vangelo, le Beatitudini? » . Lo scrittore e saggista convertito Jean- Claude Guillebaud non si spaventa: « Accanto a un cristianesimo della potenza e dell’istituzione, è sempre esistito un cristianesimo della protesta, che non risparmia neppure l’istituzione stessa. Per secoli, la storia del cristianesimo si è organizzata intorno a questa strana – e magnifica – sinergia tra ' contestazione evangelica' e ' organizzazione ecclesiale' » . Più ancora: « Sono i contestatori e i mistici che hanno tramandato il fuoco della Parola. Francesco d’Assisi, Teresa d’Avila... La straordinaria longevità del cristianesimo trova lì la sua origine: un’istituzione periodicamente risvegliata dai suoi stessi dissidenti. Senza la protesta venuta dai margini, il messaggio sarebbe indebolito o persino estinto» . Tuttavia « come mai tanti cristiani – si chiede il cardinale Roger Etchegaray, già presidente del Pontificio Consiglio Iustitia et Pax –, a furia di essere esigenti, si mostrano così ingiusti nei riguardi della Chiesa? Il cristiano non è un nomade che s’allontana dalla Chiesa quando essa trema per l’inverno, per ritornarci quando fiorisce a primavera. È un uomo delle quattro stagioni... E la Chiesa ha bisogno di essere riformata tanto quanto amata, perché c’è vera riforma solo nell’amore » . L’unico italiano chiamato da La Croix, il monaco Enzo Bianchi, è forse il più ottimista: « Questi tempi non sono tristi per la Chiesa, sono giorni di speranza. Oggi viviamo una stagione in cui la parola di Dio risuona con forza e abbondanza nella Chiesa e – attraverso essa – nel mondo » ; più la realizzazione del Concilio tenta di avanzare, più opposizione incontrerà: ma « da questo momento difficile può nascere per la Chiesa, e ancor più per il mondo, la grande grazia della riconciliazione » . Pure il filosofo Jean- Luc Marion, accademico di Francia, esorta a non temere il conflitto: anzitutto esso dimostra che « quando si tratta di morale, non si può prendere sotto gamba ciò che dice » la Chiesa, anche se « i nostri contemporanei non vogliono sentirselo dire » ; e poi « occorre imparare la cultura di minoranza, se possibile attiva » . Perché accettare « il conflitto col mondo si giustifica solo quando il mondo ci rimprovera la nostra santità, non come comoda scusa per giustificare gli errori e i difetti dei cattolici » . Infatti c’è chi domanda qualche cambiamento nella Chiesa; per esempio la storica Elisabeth Dufourcq: « Dopo 2000 anni di autorità antica, sembra giunto il momento d’inaugurare il dialogo tra apostoli e fedeli. È difficile, è rischioso, ma è un dovere. Dove: su Internet, sui blog? Perché no... Ma un modo bisogna trovarlo: non si può più rifiutare l’investimento responsabile di coloro che saranno restati fedeli. Il principio d’autorità che ha cementato la Chiesa dagli Atti degli apostoli in poi può trovare altre forme » . Anche la giornalista e teologa Anne Soupa chiede di « darsi luoghi e momenti per vivere davvero il dibattito nella Chiesa, moltiplicare le iniziative per dibattere a viso scoperto, con rispetto, senza scomuniche e soprattutto con intenti costruttivi. Oggi abbiamo tutti bisogno di contatto diretto, di una prossimità quasi carnale. Di una Chiesa che sappia invitarci intorno al fuoco e mettere le sedie in cerchio per parlare » . La crisi? Un’occasione.