Una semplice alternanza di righe bianche e nere affiancate da una sequenza di lettere e numeri: l'uso del codice a barre, uno dei simboli della nostra era, compie 40 anni. Il suo primo utilizzo avvenne infatti il 26 giugno del 1974 in un alimentari negli Usa per vendere un
pacchetto di gomme. Un'applicazione, nata dalla creazione dei
laser, la cui diffusione non conosce ostacoli e che ora fa il
suo ingresso anche nelle nanotecnologie e in nuove versioni 3D.
"L'idea iniziale si deve a due studenti statunitensi di
ingegneria, Norman Woodland e Bernard Silver", ha spiegato Ivo
Rendina, dell'Istituto per la Microelettronica e Microsistemi
(Imm) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) di Napoli.
Dalla prima idea di creare delle semplici etichette che
potessero essere lette da un fascio di luce, nata nel 1948,
dovettero però passare molti anni prima di sviluppare un
dispositivo realmente funzionante.
"Fu possibile solo grazie all'invenzione del laser - ha
spiegato Rendina - è infatti solo grazie all'impiego di questo
tipo di luce che fu possibile arrivare a creare i lettori per
i codici a barre. Solo nel 1974, a più di dieci anni dalla morte
di Silver, fu possibile migliorare il sistema tanto da poterlo
immetterlo sul mercato. Il primo prodotto ad essere battuto da
un lettore di codice a barre fu, alle 08:01 del 26 giugno 1974
in un alimentari dell'Ohio, una confezione di gomme da
masticare. Una data simbolo della nostra era, tanto che la
confezione di gomme è ancora oggi conservata al Museo nazionale
di storia americana Smithsonian. Da allora il codice a barre ha
avuto una diffusione inarrestabile ed è oggi fondamentale in
moltissimi settori industriali, dalla produzione fino alla
distribuzione. Nuove versioni del codice a barre sono in
continuo sviluppo, come i QrCode o gli Rfid, e il prossimo passo
potrebbe essere rappresentato dai codici 3D, dei veri e propri
ologrammi in qui sia possibile racchiudere una grande quantità
di informazioni in più. Versioni miniaturizzate stanno facendo
il loro ingresso anche nel mondo della medicina e delle
nanotecnologie: "una possibilità - ha spiegato Rendina - è
quella di iniettare nel corpo umano microparticelle organizzate
come una sorta di codice a barre utilizzabili per marcare
cellule tumorali oppure marcare un farmaco per capire se ha
colpito il suo bersaglio".