«Per me, dipingere un quadro è intraprendere un’azione drammatica nel corso della quale la realtà si ritrova squarciata». Un giorno, il maestro più celebrato del Novecento riassunse così l’invincibile pulsione creativa nelle sue mani di pittore e scultore, incessantemente e freneticamente operose per oltre ottant’anni. E sabato prossimo, dopo un controverso quinquennio di lavori, la riapertura ufficiale del Museo Picasso di Parigi, la più vasta collezione pubblica al mondo di opere dell’artista (nato a Malaga nel 1881 e scomparso nel 1973 a Mougins, sulla Costa azzurra), avverrà sotto il sigillo di questa frase. Squarciare la realtà come cercano di fare le corna di un toro ferito, dunque. Le stesse corna taurine impresse sulle copertine tanto della piccola guida che sarà offerta al pubblico, quanto del catalogo (edito da Flammarion) che presenta la logica ibrida, al contempo cronologica e tematica, del nuovo vasto percorso museale: tremila metri quadri in trentasette sale lungo i cinque piani del seicentesco Hôtel Salé, nel quartiere storico del Marais, con il celliere e il sottotetto a sommarsi ai tre piani nobili. Rispetto al passato, dopo i lavori, la superficie espositiva è triplicata, ma le creazioni mostrate rappresentano meno di un decimo di quelle in possesso dell’istituzione: quattrocento su oltre cinquemila. L’opera scelta come simbolo del museo è fra le più essenziali della sterminata produzione picassiana. Risalente al 1942, anno buio nella biografia dell’artista, la
Testa di toro fu ottenuta saldando il sellino e il manubrio di una bicicletta. Solo più tardi, il bronzo colerà sulla forma.Se fin dagli inizi precocissimi una volontà quasi teatrale d’azione drammatica con conseguenze laceranti sulla realtà fu davvero il principale movente poietico di Picasso, pare coerente la scelta del museo di valorizzare pure la ricca e angolosa produzione scultorea dell’artista. Giunto ventenne a Parigi, Picasso cominciò a riempire di statuette e maschere esotiche in legno il Bateau-Lavoir, suo primo atelier francese sulla collina di Montmartre. E secondo una tesi difesa nell’allestimento museale, il ritorno precoce alle forme arcaiche e "primitive", talvolta ispirate pure dall’arte europea preromana, non accompagnò solo la rottura estetica cubista poi simbolizzata dalle
Demoiselles d’Avignon, manifesto pittorico oggi esposto a New York. Si trattò pure di una preliminare ma inequivocabile spia dell’irrequietezza di un’intera vita sfociata in una costante transumanza formale che molti critici interpreteranno fra ammirazione e turbamento, non solo d’acchito, come una sorta di volontaria "immaturità" esibita dal maestro. Per assaporare in modo panoramico la fiammeggiante corrida esistenziale picassiana, segnata da frequenti cambi d’approccio e direzione, oltre che di tecniche e materiali, nessun luogo è probabilmente tanto istruttivo come il museo parigino. Al pianterreno, fra le tele più note, si potranno ammirare anche lavori del periodo blu come l’
Autoritratto del 1901 che mostra un giovanissimo Picasso barbuto. O ancora
Celestina (1904), primo piano femminile segnato da uno sguardo fisso e penetrante. Si avanza poi verso il primitivismo e il cubismo del decennio 1906-1915. Mentre la successiva sequenza, definita "polimorfismo", copre gli anni fino al 1936, contrassegnati da tele in cui Picasso si richiama nuovamente ai modelli e miti classici, come nel celebre
Il flauto di Pan (1923). Il successivo bisogno di un impegno civile e pacifista, espresso dall’artista soprattutto nella scia del monumentale
Guernica (1937, conservato a Madrid), è rappresentato a Parigi in particolare dal
Massacro in Corea (1951), anch’esso di grande formato. Fra le sculture in bronzo realizzate in età matura, spicca
L’Uomo con agnello (1943), a cui il museo riserva una saletta in penombra, sorta di appartato antro ligneo. Le sale del sottotetto proporranno invece un aspetto poco noto della biografia di Picasso, che fu pure un collezionista appassionato di opere di altri illustri artisti soprattutto francesi, come Renoir, Cézanne, Gauguin, Degas, Matisse. Traendo spunto da una selezione di tele di questa collezione personale, la sezione cerca pure di evidenziare il gioco d’influenze formali reciproche fra maestri.