Adulti «narcisisti», incapaci di svolgere il proprio ruolo di genitori. Ma anche una società «che spinge verso un individualismo narcisista». Per Eugenia Scabini, docente di Psicologia sociale della famiglia e preside della facoltà di Psicologia dell’Università Cattolica di Milano, è il terreno fertile su cui cresce l’emergenza educativa.
Da molto tempo si parla della necessità di un’alleanza scuola-famiglia e realtà educative per farvi fronte. Siamo ancora all’allarme o vi sono segnali di inversioni di tendenza?«In primo luogo ritengo positivo che si sia lanciato l’allarme e preso coscienza del problema. Se da un lato c’è un grande consenso sull’allarme, dall’altra, però, si assiste a un palleggio di responsabilità tra le varie componenti: ognuna attribuisce all’altra la responsabilità, ma nessuna si chiede quale sia la propria parte per porvi rimedio».
E chi finisce principalmente sul banco degli imputati?«Direi la famiglia. In parte ci possono essere delle ragioni, ma appare il capro espiatorio di un aspetto più ampio. Di certo la componente sociale sembra chiamarsi fuori dal gioco delle responsabilità».
Uno scaricabarile, dunque?«Il fenomeno che stiamo analizzando, l’emergenza educativa, è espressione di un individualismo narcisistico, che è la causa culturale del problema. Anche la famiglia non sfugge a questo fenomeno, ma è l’intera società, il mondo degli adulti a esserne affetto. Oggi i genitori, rispetto al passato, continuano a vedere considerare i figli come una prosecuzione di se stessi, ma mancano della capacità di considerare i giovani come una generazione da promuovere e lanciare nel futuro. Al contrario sembrano considerarli dei competitori».
Quali sono i segnali di questo fenomeno?«In passato i genitori avevano la percezione chiara che i figli fossero comunque delle persone a se stanti. Oggi, invece, i genitori si riflettono nei figli, ci si rispecchiano, proprio come faceva Narciso nella propria immagine nell’acqua. Un esempio? Fino a qualche decennio fa l’insuccesso scolastico veniva vissuto dai genitori come una carenza o lo scarso impegno del figlio. Oggi è vissuto come un fallimento genitoriale. Nel passato esisteva una alleanza tra adulti, genitori e docenti, che, nel rispetto dei ruoli, condividevano la responsabilità di aiutare il giovane a raggiungere una meta».
Mentre oggi, come disse l’allora ministro Fioroni, i genitori si trasformano in sindacalisti dei propri figli?«Appunto. Mi rispecchio in mio figlio e se non riesce a scuola, io difendo mio figlio, perché in questo modo difendo me stesso. Il tutto in un prolungamento narcisistico».
Cosa ha scatenato tutto questo?«È quello che ho chiamato individualismo narcisistico, di cui la società è avvolta. Abbiamo una generazione adulta che non è capace di avere valori condivisi, ma è alla ricerca di una felicità a buon mercato. Sono adulti che puntano al successo immediato, alla facile realizzazione. E questo lo vediamo anche nei giovani».
Ma è possibile individuare il momento nel quale si è rotto il meccanismo che in passato regolava il rapporto tra le generazioni?«Penso che siano cambiamenti epocali. Possiamo parlare della caduta di identificazione nei grandi valori comuni. E anche di una secolarizzazione della società: io sono al centro del mondo e non c’è un Essere superiore, come avviene nella visione religiosa della vita. E se mancano valori comuni e il senso di partecipazione a un progetto comune, vengono meno anche i legami con gli altri. Ritorniamo all’individualismo narcisistico, che porta a una separazione netta tra gli adulti anche in campo educativo».
Cioè la famiglia da una parte e la scuola dall’altra?«C’è un equivoco di fondo in cui la famiglia cade. Quest’ultima prima viene vista sotto un profilo privatistico, che non ha interesse dal punto di vista sociale, ma poi le viene attribuito il difficile compito di affrontare l’emergenza educativa da sola, privandola di alleati. Esiste invece, a mio avviso, una responsabilità educativa della società intera, di tutti gli adulti. La trasmissione tra generazioni coinvolge tutti gli adulti».
Insomma quest’emergenza sembra riguardare di più gli adulti che i giovani.«I giovani riflettono quello che vedono negli adulti. Entrambi sono accomunati dall’identificarsi con un successo individuale a breve termine, inseguire una fama a buon mercato: tu vali nella misura in cui diventi molto noto. Si identifica con l’immagine grandiosa di sé. C’è una spettacolarizzazione dell’identità e delle relazioni. E in questo la responsabilità è di tutti i soggetti. Manca una assunzione di responsabilità adulta seria e un’alleanza tra gli stessi adulti per dare risposte concrete alle giovani generazioni».
Un quadro pessimista. C’è speranza in un’inversione di tendenza?«Fortunatamente la società reale è più ricca di come la si possa dipingere e dentro di essa vi sono segnali ed esperienze positive. Magari sono piccoli, ma sono significativi. Pensi alle associazioni dei genitori, che cercano di costruire insieme nuovi stili educativi. O alle scuole per genitori che sono nate in molte parti dell’Italia. Per dare risposta a quelle domande di senso che i giovani comunque ci fanno».