venerdì 7 febbraio 2014
COMMENTA E CONDIVIDI
Diciamola tutta: la tentazione è forte. La voglia di fare il confronto fra le sculture bronzee di Alberto Giacometti (1901-1966) e i capolavori accumulati con passione dal cardinale Scipione Borghese (1577-1633) nella sua villa suburbana è grande, inevitabile e, certo, provocatoriamente cercata dai curatori della mostra Giacometti. La scultura Anna Coliva e Christian Klemm. Ma è giusto fare un confronto ? Sì e no. No, se si pensa a una "gara" banale e sterile fra lo scultore svizzero e maestri come Bernini e Canova. Ernst Gombrich, come si sa, ha scritto un celebre libretto Arte e progresso nel quale, a dispetto del titolo, viene con dovizia di particolari ben spiegato che non si può avere una visione dell’arte nella quale si consideri un percorso progressista, in virtù del quale questo è meglio di quello; né si può abbracciare l’idea di progresso, di crescita e di miglioramento, con il pensiero all’arte. Sì, se si confrontano fra loro – con intelligenza e acume – modalità espressive diverse. Naturalmente, è a questo secondo modo di affrontare il quesito che si sono ispirati i due curatori. Non si tratta, però – si badi bene –, di una forzatura. Non per nulla, Christian Klemm, il più grande conoscitore dell’opera dello scultore svizzero e vice-direttore del Museo d’Arte di Zurigo, ha esordito nel suo contributo al catalogo edito da Skira, ricordando il soggiorno romano di Giacometti e l’esercizio di copia cui volentieri si sottoponeva, proprio alla Galleria Borghese dove – annota l’artista – un giorno di quel lontano 1921 stava disegnando Rubens «…una delle grandi scoperte di quella giornata». Allora si riesce a capire come Giacometti abbia saputo annodare la sua ricerca personale allo studio della storia dell’arte (da artista, naturalmente e non da storico) e alla reinvenzione di un’espressività moderna che si fa chiara ed evidente proprio grazie al confronto fra le sue opere e gli antichi capolavori della collezione Borghese. Capolavori, come ovvio, riconosciuti come tali già dallo scultore stesso che ci ha lasciato, fra l’altro, un tenero foglio a matita con lo schizzo della "Venere urania" ripresa da quel capolavoro che è l’Amor sacro e Amor profano di Tiziano. Così, proprio la godibile esposizione di alcuni fogli di grafica, a parte un acquerello con lo scorcio del Tevere verso il Vaticano, mostra come l’interesse principale dell’artista fosse il nudo e la figura umana.Già nel corso del soggiorno fiorentino del 1920, Giacometti si era lasciato affascinare dall’arte e, in particolare, dalla scultura egizia, disegnando un’opera compatta come Il dignitario Pathmose le cui forme, ridotte alla tipica stilizzazione cubica, diverranno il parametro di un ideale di semplificazione al quale, sia pure con differenti declinazioni, l’artista svizzero tenderà sempre. Così, non si può negare che sia davvero suggestivo, entrare nella Sala Egizia della Galleria Borghese e trovarsi dinanzi ad un’opera come Donna che cammina II, scolpita in un bronzo scuro che mima a perfezione il basalto nero delle statue egizie. La scultura non avrebbe potuto trovare collocazione migliore perché, oltre all’arredamento e agli affreschi "all’egiziana" progettati grazie alla regìa dell’architetto Antonio Asprucci (1732-1808) per il principe Borghese, fa bella mostra di sé un monumentale Osiride fissato nel basalto dallo scultore ottocentesco Antoine-Guillaume Grandjacquet, portato apposta dal Louvre per esaltare la compattezza del capolavoro di Giacometti. S’instaura così un rapporto dialettico fra le opere dell’artista svizzero e quelle della Galleria Borghese, la cui memoria riaffiora nella materia plasmata dalle mani del grande scultore. Si capisce allora perché la Testa che osserva, grande nonostante le piccole dimensioni, in gesso bianco, con le due morbide, ma sintetiche depressioni che alludono ai diametri verticale e longitudinale del cranio (ma anche a quello orizzontale bizigomantico), rimandi anche agli assi ortogonali che governano la composizione della Paolina Borghese accanto a cui è collocata.Non diversamente, la Donna cucchiaio, con la riflessione accogliente sul valore della convessità (che ricorda pure i vasi di alabastro di fattura egizia), insieme alla Donna sgozzata il cui bronzo segmentato rende plastici gli ultimi singhiozzi della vittima, dialogano con la morbida bellezza dell’Ermafrodito che cela la virilità puntuta di una natura stravolta e simbolica.Si tratta perciò di una mostra sofisticata, ma altamente godibile, realizzata per la convinzione caparbia e sensibile di Anna Coliva, direttrice della Galleria Borghese. Nessuno, infatti, potrà rimanere indifferente all’accostamento fra i busti marmorei scolpiti da Bernini che ritraggono Scipione Borghese, e i due ritratti di Lotar (II e III) che, forse, davvero possono considerarsi l’alfa e l’omega della ritrattistica scultorea.
 
Roma, Galleria BorgheseGiacometti.La sculturaFino al 25 maggio
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: