Settanta anni fa, il 15 aprile 1944, Giovanni Gentile veniva assassinato a Firenze da partigiani comunisti. Un omicidio che da subito divise la Resistenza fiorentina e toscana; divisione di cui sono documenti le rivendicazioni successive da parte dei soli esponenti comunisti, le interpolazioni del manifesto della rivendicazione, le seriori giustificazioni politiche.Singolare che, noti gli esecutori materiali, siano rimasti tuttora ignoti i mandanti. Ma come? La corsa ad acquisire e vantare meriti nella lotta partigiana, in questo caso non vide concorrenti; anzi il Partito comunista d’Italia che se ne assunse una responsabilità politica, non operativa, venne perciò criticato. Un silenzio dunque emblematico; un mistero che non si è avuto mai il coraggio di chiarire da parte dei protagonisti. Protagonisti assai probabilmente interni al mondo ormai lacerato della cultura fiorentino-toscana che assassinarono il "padre". O «Caino che uccide Abele forse perché gli somiglia troppo?». Parole di Luigi Russo nel 1947!Eppure anche chi aveva sperimentato il rigore severo di Gentile ne pianse la scomparsa: così Claudio Claudi (espulso dalla Normale nel 1933) scriveva nel proprio inedito diario il 16 aprile 1944: «Giovanni Gentile è morto, assassinato per odi politici (…). Passerà questo delitto alla storia come uno dei più gravi errori commessi in omaggio alle idee politiche contro la cultura, l’intelligenza, il sapere (…). Tuttavia è strano ed indicativo insieme che non si riesca a considerare Gentile come scomparso. Come Dante come Socrate, come Platone, come Kant, come pochi altri, Gentile è per noi presente, più che se fosse vivo». Espressioni tanto più significative considerando che a questa data, mentre Gentile aveva aderito alla Rsi, Claudi – che dunque non si nascondeva le «debolezze politiche» di Gentile – aveva fatto della clinica romana di famiglia un centro di assistenza ai perseguitati politici e razziali.A salire di notorietà, non mancarono di ricordarne lo spessore culturale e la grande disponibilità all’aiuto, allievi e colleghi che proprio grazie al sistema teoretico idealistico erano transitati al comunismo: Delio Cantimori, che fin dall’agosto 1943 scriveva «addolorato» a Gentile per gli attacchi che in quei giorni subiva «proprio dal mondo della Scuola italiana»; Cesare Luporini, che Gentile aveva voluto alla Normale come insegnante di tedesco violando consapevolmente le norme degli accordi culturali italo-germanici, e che nell’agosto 1943 ne ricordava quelle parole «che ci insegnarono a credere nel libero futuro degli uomini»; Luigio Russo che nell’infuocato dopoguerra ideologico non venne meno al ricordo e all’omaggio di Gentile.Per non parlare dei tantissimi ebrei, studenti e professori, che Gentile aiutò in ogni modo, mentre subivano il vergognoso codazzo di ingiurie da parte di quanti corsero a trasformarsi, nel dopoguerra, in maestri di democrazia. Chissà che proprio per questo non "debba" gravare su di lui, come un’ingiuria necessaria, un falso storico: essere definito «ispiratore e primo firmatario del Manifesto della razza»! Un falso clamoroso, che continua ad aver corso su vari siti internet e che, con quelle precise parole, è stato rilanciato a Parigi nel febbraio 2013 per contestare la presentazione alla Sorbona della riedizione in francese di due volumi di scritti di Gentile degli anni 1916 e 1903-18 (dunque precedenti il fascismo).
Non falso ma vero, piuttosto, che la famiglia Gentile, dopo l’assassinio del congiunto, chiese ed ottenne di evitare le previste fucilazioni, per rappresaglia, di alcuni detenuti, tra cui diversi intellettuali fiorentini. Era un comportamento consono alla tradizione familiare di grande umanità e di religiosità. Gentile, il giorno prima della morte, aveva partecipato alla conferenza di padre Francesco Sarri su san Bernardino da Siena, nell’ambito del ciclo «Santi italiani» organizzato da Jolanda De Blasi; il 24 aprile avrebbe dovuto presenziare a quella di Garin su san Carlo Borromeo (circostanza in cui Garin commemorò dunque Gentile).Non presenze cerimoniali, ma testimonianze di un lungo percorso di avvicinamento di Gentile al cattolicesimo, di cui furono testimoni i cardinali Celso Costantini e Guglielmo Salotti. Lo ricordammo in Gentile e il Vaticano (Le Lettere, 1997). Costantini scrisse il 18 aprile 1944 nel proprio diario dell’«orrore» per quell’assassinio: «Disonora la fazione che l’ha commesso», ricordando la pietà e la preghiera di Gentile. Un ricordo di quella umanità e religiosità fu testimoniato quello stesso giorno in una lettera del cardinal Salotti alla famiglia Gentile, in cui il porporato esprimeva inoltre il compiacimento «nell’apprendere che essa, con alto senso cristiano abbia supplicato perché si eviti qualsiasi rappresaglia destinata a versare nuovo sangue. È un nobile gesto che dovrebbe essere imitato da tutti».