Alla Scala Giulio Gatti Casazza arriva dopo una gavetta in provincia che egli stesso definì fondamentale. All’epoca il teatro di Ferrara vedeva un’orchestra composta nelle prime parti da professori del Conservatorio e per il resto da artigiani e negozianti, nessuno dei quali retribuito: solo un rimborso spese per le recite e nulla per le prove. Il coro era tutto di dilettanti. La gestione era mista pubblico-privata: a finanziare la stagione (tre opere per trenta repliche) sono i palchettisti e il Comune. Quando passa a Milano nel 1898 ad accoglierlo c’è Verdi. Che gli dà un suggerimento, trasformato da Gatti in programma: «Legga con massima at-ten-zio-ne i rapporti del bot-te-ghi-no! Questi, che le piaccia o no, sono i soli dati che misurano il successo o il fallimento di un’opera. Il teatro è fatto per essere pieno, non vuoto. Se ne ricordi sempre».Il giovane direttore generale deve riaprire la Scala chiusa da oltre un anno. Era mancata, su iniziativa del partito Socialista di Filippo Turati, la "dote" che il Comune elargiva ogni anno al teatro. «All’operaio – motivò Turati – prima di far sentire suonare e cantare bisogna pensare a dargli da mangiare... Se i ricchi amano il teatro, se lo paghino». Turati non poteva aver letto lo studio realizzato in occasione dell’Expo (i corsi e ricorsi…) del 1906 in cui si calcolava che la Scala dava lavoro a un migliaio di persone, senza contare la ricaduta su «sarti, parrucchieri, calzolai, albergatori, caffettieri». Impressiona l’assonanza con dichiarazioni recenti, ma anche con la diatriba sui costi dell’opera e il ruolo dei privati. Il teatro era entrato in affanno quando venne abolito il gioco d’azzardo, motivo dell’esistenza dei foyer. Furono i privati a salvare la Scala, con l’intervento del duca Guido Visconti di Modrone, che puntò sui giovani Guido e Arturo. Ma l’altalenarsi del contributo pubblico sarà una costante dei quegli anni. Alla Scala Gatti Casazza e Toscanini aprono tutte le stagioni con Wagner (tranne una, ma solo perché all’ultimo salta la recita del Tristan, in prima milanese), senza grandi proteste. Più dubbi solleva nel pubblico la decisione dei due di allestire il Trovatore ripulendo musica e messa in scena dagli orpelli della tradizione che prevedeva «un gran agitarsi di piume bianche e di tintinnanti sciabole». Nei suoi dieci anni di gestione Gatti Casazza ospita la premiere, disastrosa, di Madama Butterfly, e le prime italiane dell’Onegin e di Pelleas et Melisande.
Quando nel 1908 verrà chiamato come general manager a New York, ancora in coppia con Toscanini, Gatti Casazza modellerà la gestione del Met sul sistema no profit (nessun dividendo, gli utili reinvestiti nell’attività artistica) inaugurato alla Scala. Oltreoceano le esigenze sono diverse. Il teatro è per buona parte di repertorio, e le recite si succedono a ritmo frenetico. La compagnia è enorme, ricca di star (a partire da Caruso) e copre titoli in almeno tre lingue diverse. Non mancano le prime assolute, come La fanciulla del West di Puccini (1910) ma anche di opere "americane", rispondendo alle ambizioni culturali di una potenza ancora solo economica. In America definiscono i suoi 27 anni al Met il "regno di Gatti Casazza". Ma la sua parola d’ordine fu «democratizzare l’opera». Il 25 dicembre 1931 mandò in scena Hänsel e Gretel di Humperdinck e le note furono ascoltate in tutto il Paese: per la prima volta nella storia americana un’opera veniva trasmessa via radio.