domenica 29 settembre 2024
L’attore al Lucca Film Festival come regista di “Wildcat” sulla grande scrittrice cattolica americana
L’attore e regista Ethan Hawke a Lucca

L’attore e regista Ethan Hawke a Lucca - Lucca Film Festival

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«Il motivo per cui ho girato questo film è molto semplice: è la fede». È chiaro e diretto Ethan Hawke mentre spiega ad Avvenire le ragioni più profonde per cui ha diretto, scritto e prodotto insieme alla moglie Ryan Wildcat sulla scrittrice cattolica americana Flannery O’Connor, presentato in anteprima italiana alla XX edizione del Lucca Film Festival che si conclude oggi dopo avergli dedicato una retrospettiva e il Golden Panther Award. Una carriera straordinaria quella dell’attore texano lanciato a soli 18 anni dall’Attimo fuggente di Peter Weir, consacrato dal regista Richard Linklater come protagonista di Prima dell’alba, Before Sunset - Prima del tramonto, Before Midnight e Boyhood (con lui ha appena girato Blue Moon in uscita l’anno prossimo). Ma oggi a 54 anni Hawke vuole dire la sua attraverso la sua casa di produzione Under The Influence Productions che condivide con la moglie, «perché noi artisti possiamo contribuire a cambiare il mondo» aggiunge.

Maya Hawke è Flannery O’Connor nel film “Wildcat”

Maya Hawke è Flannery O’Connor nel film “Wildcat” - Lucca Film Festival

È quindi un coraggioso film indipendente di alta qualità Wildcat in cui Hawke esplora con un taglio originale la vita di Flannery O’Connor (scrittrice da lui amatissima), la sua profonda fede e la sua graffiante creatività cercando di entrare direttamente nella sua mente nel momento in cui crea i personaggi controcorrente che animano il suo mondo interiore. Protagonista dalla mimesi sorprendente è Maya Hawke, figlia di Ethan Hawke e Uma Thurman, efficace nell’impersonare la tormentata autrice che lei ha voluto rappresentare in film. La storia è ambientata negli anni ’50 e inizia con Flannery costretta a tornare a vivere nella fattoria di famiglia in Georgia, dopo la diagnosi di lupus, la malattia ereditaria che la porterà alla morte a soli 36 anni nel 1964. Mentre lotta con la malattia, vive un rapporto contrastato con la madre Regina (Laura Linney) e tenta di affermarsi come scrittrice, Flannery O’Connor si deve confrontare con le proprie idee religiose, i propri dubbi, l’ipocrisia della società e il peso della sofferenza. Ed è proprio questa lotta interiore a dare vita alle sue opere: così la vediamo alla macchina da scrivere trasformarsi nella ragazza sordomuta Lucynell sposata e poi abbandonata dal vagabondo Tom T. Shiflet nel racconto La vita che salvi potrebbe essere la tua, e poi la donna fondamentalista che assale il marito reprobo ravveduto che si è fatto un tatuaggio gigante di Gesù sulla schiena nel misterioso La schiena di Parker, e poi trasformarsi ancora nella ragazza atea con una gamba falsa rubata da un venditore ambulante di Bibbie e nel giovane che rimprovera sua madre per le sue visioni arretrate sulla razza fino a quando non ha un ictus.

I pensieri della scrittrice sono tratti dai suoi diari di preghiera, tranne un episodio inventato ma molto toccante in cui, costretta a letto e angosciata, riceve la visita di un prete (Liam Neeson in un cameo): «Desidero ardentemente la grazia grida lei –. Lo vedo, so che è lì, ma non posso toccarla». Ma se la gente pensa che la fede sia «una comoda coperta elettrica» lei sa bene che ha invece che fare con la croce.

Ethan Hawke ci precisa le sue intenzioni nel film: «Vedo spesso che nei film i temi della fede sono trattati o come devozione o come presa in giro della Chiesa. Flannery O’Connor era un personaggio estremamente devoto, ha tratto nutrimento dalla sua fede e ha creato 70 anni di arte. L’ho ammirato proprio per la sua fede». L’attore, che si dichiara episcopale, ricorda: «Io sono cresciuto con un patrigno cattolico, mia madre è episcopale ed ho potuto leggere moltissimi libri riguardo a queste due fedi. In particolare mia madre mi ha fatto leggere Flannery O’Connor e Thomas Merton. Però c’è sempre stato rispetto: rispetto coloro che cercano qualcosa, che cercano di andare oltre e di rispondere alle grandi domande della vita». Che sono quelle anche al centro anche del film First Reformed – La creazione a rischio di cui è stato protagonista nei panni di un tormentato pastore riformista nel 2017 per il grande regista Paul Schrader, nato calvinista e ora presbiteriano, riproposto l’altra sera al Lucca Film Festival dove i due si sono reincontrati sul palco del cinema Astra.

«Ho festeggiato il cinquantesimo compleanno durante il Covid è ho avuto una sorta di piccola crisi interiore. Quando ero giovane mi sono sempre chiesto domande sulla fede, perché nasciamo, perché siamo qui, perché le persone muoiono – continua Hawke –. Sono sempre stato interessato a cercare risposte nella religione, tuttavia durante tutta la mia carriera credevo di non essere riuscito a dare una risposta a queste domande. Invece ora mi sono accorto che l’avevo già trovata. Quando saliamo sul palcoscenico cerchiamo di dimostrare che la vita ha un significato». Ed è stato proprio girare Wildcat a ridargli tale consapevolezza perché «attraverso questa donna di grande fede e creatività c’era la possibilità di rispondere a tutte le domande che ci siamo chiesti nella nostra vita». E ci svela un particolare personale sorprendente. «La più grande benedizione di essere un artista è che i soggetti che tu scegli diventano meditazioni potenti su temi molto specifici. Io ho avuto una stupenda esperienza girando questo film. Quando ero ragazzo mia madre mi ha permesso di fare un ritiro spirituale presso la Gethsemani Abbey (che è un monastero cattolico di monaci trappisti a sud di Louisville in Kentucky, ndr.). Fu una esperienza potente per un ragazzo. Ora mia figlia Maya a 25 anni da quando si è appassionata a Flannery O’Connor mi ha impegnato in conversazioni che io avevo con me stesso alla sua età. Ed è lei che ha voluto fare un film. Sono andato quindi in Kentucky a cercare delle location per la fattoria della O’Connor e senza neanche rendermene conto sono finito in un posto che mi era familiare. Era la tenuta della stessa abbazia. Il film mi ha portato esattamente dove ero stato da giovane uomo».

La sfida per il regista è stata quella di non girare una semplice biografia, un genere cinematografico che Ethan Hawke dice di odiare, ma «di creare un film che mostrasse che la creatività umana è un atto di fede. La cosa più importante da ricordare è quanti ostacoli ha dovuto superare questa donna nella sua vita, con una profondissima fede e un grande genio. Ha dovuto affrontare tantissimi ostacoli a partire dal fatto che il mondo della letteratura all’epoca fosse un mondo dominato da uomini, ha a avuto problemi di salute, non ha voluto supporto da parte della sua famiglia e un altro ostacolo stava nel modo in cui lei guardava il mondo – aggiunge –. Lo vedeva come un mondo pericoloso. Quindi ho voluto far sì che la forza dell’immaginazione passasse attraverso questo film, un’immaginazione che ci aiuta a guarire in qualche modo. Perché tutto quello che sentiamo è reale e in qualche modo ci influenza. Questo tipo di film rappresenta il modo per rispondere alle grandi domande che noi stessi ci poniamo».

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