domenica 21 giugno 2009
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Da Parigi al Mar Nero senza consumare un metro d’asfalto. Sarà possibile nel 2015, quando, se i tempi saranno rispettati, avverrà il completamento di un nuovo canale navigabile destinato ad allacciare la Senna ai grandi porti del Nord e al sistema di 20.000 km di idrovie che avvolge l’Europa. Un’infrastruttura a cui si lavora da almeno 15 anni e che consentirà il passaggio di navi capaci di trasportare container per 4.440 tonnellate: l’equivalente di 180 Tir. E che si annuncia cruciale nella ridistribuzione del sistema di trasporti commerciali continentale. 106 chilometri di autostrada d’acqua collegheranno la regione di Parigi con i moli dei porti che, capitanati da Rotterdam, gestiscono il 70% della circolazione merci in Europa. Con enormi benefici previsti per la Francia, dove via fiume passa solo il 3% dei trasporti nazionali: briciole in confronto al 12% della Germania (dove i prodotti chimici possono transitare obbligatoriamente solo su acqua), del 14% del Belgio e del 30% dei Paesi Bassi. Tutti Paesi che a loro volta, secondo gli studi preparatori del progetto, grazie al canale Senna­Nord vedranno aumentare il proprio volume di traffico almeno del 30%. Un’impresa per la cui realizzazione verranno mobilitate undicimila persone, di cui 4000 impegnate direttamente nei lavori, e che quindi avrà un impatto occupazionale importante in questo tempo di crisi. La Francia ha la quarta rete di navigazione d’Europa, con 6.700 chilometri di cui 3.800 di canali e 2.900 di fiumi. Di tradizione antica (il «Canal du Midi», lungo 254 chilometri, fu realizzato nel XVIII secolo per collegare Bordeaux alla Languedoc «saltando» lo stretto di Gibilterra), per la maggior parte è però adatta a chiatte capaci di carichi compresi tra le 400 e le 600 tonnellate. Senza contare che i grandi bacini di navigazione fluviale d’oltralpe, a eccezione del Reno, sono circuiti chiusi, senza connessione con altri sistemi idroviari. Con la nuova infrastruttura il traffico delle merci dovrebbe aumentare dagli attuali 5 milioni di tonnellate ai 18 nel 2020, per arrivare poi a 30 milioni di tonnellate nel 2050, consentendo in tale data il passaggio di due milioni di mezzi di trasporto a grosso carico. Un’operazione dai grandi numeri anche in termini di costi: 4,5 miliardi di euro, di cui 1,8 miliardi ripartiti in parti eguali tra Stato e enti locali, 333 milioni finanziati dall’Unione Europea e il resto provenienti da un partenariato pubblico-privato. Basso, almeno nelle dichiarazioni, l’impatto ambientale grazie a un cantiere «ecologico e sostenibile». Senza contare che la nuova struttura, riducendo il traffico sugli assi autostradali francesi, permetterà – sempre secondo gli studi – una diminuzione di almeno 220mila tonnellate di emissioni di anidride carbonica nel 2020 e di 570mila nel 2050 e un risparmio, nel 2020, di 70mila tonnellate di petrolio. Oltre a una migliore gestione del sistema idrico del nord del Paese, regolarmente colpito dalle esondazioni dell’Oise. G razie alla presenza di fiumi come Reno, Danubio, Elba, Oder e Mosa, collegati da un fitto sistema di canali artificiali, la rete di vie fluviali europea è la più importante del mondo. I due assi principali sono costituiti dal Reno e dal Danubio con i loro affluenti, ma anche l’area scandinava, ad esempio, ha sviluppato il trasporto interno sull’acqua allestendo porti sui grandi laghi. Secondo l’Eurostat nel 2007 sono state trasportate attraverso le idrovie interne 515 milioni di tonnellate di merci. La classifica vede in testa l’Olanda con oltre 324 milioni di tonnellate, seguono la Germania con 248 milioni, il Belgio con 139 milioni, la Francia con 76 e quindi la Romania, grazie al tratto terminale del Danubio, con 29 milioni (di cui 22 di merci nazionali). Il porto fluviale più importante è quello di Duisburg, in Germania, sulla confluenza del Reno e della Ruhr, al centro dell’industria siderurgica tedesca. Ampiamente nell’entroterra, collegato a Dortmund grazie il canale Reno-Herne e al Mare del Nord mediante il canale Dortmund-Ems, è classificato come porto marittimo per il fatto che alle sue 22 darsene e ai 40 chilometri di moli attraccano navi con provenienza o destinazione in tutto il mondo. Nel 2008 il porto di tedesco ha gestito l’interscambio fra trasporto navale, su rotaia e su gomma di 119 milioni di tonnellate di merce e container per oltre un milione di Teu (unità di misura internazionale, corrispondente a un container standard di 20 piedi, circa 6 metri): il 12% in più rispetto all’anno precedente. Questo dedalo d’acqua ha però più di una strozzatura. In particolare il canale Reno-Meno­Danubio, la cui costruzione è stata avviata nel 1992 e che collega Rotterdam con il Mar Nero passando per i Paesi Bassi, la Germania, l’Austria, la Slovacchia, l’Ungheria, la Croazia, la Serbia, la Bulgaria, la Romania e l’Ucraina, ha ancora dei nodi irrisolti. Uno di questi è in Baviera, tra Straubing e Vilshofen, nei pressi di Passau. Qui il fiume è ricco di meandri e abbassa il livello delle acque. Le navi spesso sono costrette a scaricare parte della merce a Straubing mentre le grandi chiatte non hanno margine di manovra. L’attivismo ambientalista ha bloccato già a partire dagli anni Novanta progetti di canalizzazione del tratto, denunciando il rischio della distruzione dell’ecosistema, abitato da rare specie selvatiche. Un nuovo studio sulle conseguenze della sistemazione della porzione di fiume è stata intrapresa nel 2008 dal ministero dei trasporti di Berlino con l’appoggio dell’Unione Europea. I risultati fra tre anni. A far tentennare sulla prosecuzione dei lavori ci sono anche dati poco confortanti sul rendimento del canale stesso. Nei primi anni Novanta si calcolò che nel 2000 il traffico avrebbe raggiunto i 10 milioni di tonnellate, per arrivare a pieno regime ai 18 milioni. Nel 2007 i trasporti non hanno mai superato i 6,6 milioni. Il tratto finale dell’idrovia è costituito dal canale Danubio-Mar Nero, in Romania, 67 chilometri che evitano le complicazioni del delta. Dopo Suez e Panama è il terzo al mondo per grandezza. La costruzione fu avviata nel 1949 dal regime comunista, che impiegò prigionieri politici internati in un apposito campo di lavoro; non è noto con certezza né quante persone vi lavorarono né quanti vi morirono. Il «canale della morte», come venne ribattezzato, fu sospeso nel 1953 perché economicamente insostenibile. Ripreso negli anni Settanta, fu terminato tra il 1984 e il 1987. Costato complessivamente due miliardi di dollari, si stimò che servivano 50 anni per ripagarlo. Nel 2005 il reddito annuale del canale era di 3 milioni di euro; a questo ritmo per recuperare l’investimento ci vorranno 600 anni.
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