martedì 16 dicembre 2014
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Del bene e del male che gli Stati moderni hanno concorso a produrre sono corresponsabili i partiti, che in ciascuno di essi hanno operato. In conseguenza delle correzioni da apportare ai sistemi oggi in crisi non possono non essere promotori anche i partiti che in ciascun Paese operano. Ma potranno farlo senza essi stessi aggiornarsi in idee, strutture, in azioni, se è vero – come è certamente vero – che le idee sinora da ciascuno di essi diffuse, le strutture di cui si sono serviti, le azioni svolte hanno certamente concorso – o almeno non sono riusciti ad impedire – al manifestarsi della crisi in cui i sistemi si dibattono?Che il problema esista è indicato da vari fatti: la critica cui li sottopongono sociologi e politologi, la ricerca di nuove vesti ad idee tradizionali che i partiti stanno compiendo, la diminuzione di consensi, l’incapacità di quasi tutti i partiti – presidenziali o parlamentari che siano le strutture costituzionali – a raggiungere posizioni di maggioranza assoluta, le difficoltà in cui si trovano quando ricercano tra loro intese per coalizioni maggioritarie di governo.E i vari fatti, ricondotti alle rispettive motivazioni, inducono sempre più a ritenere che ideologicamente i partiti perdono credito perché non hanno persistentemente confrontato le osservazioni da cui partivano le proprie ideologie con i mutamenti sopravvenuti nella realtà sociale. Strutturalmente, poi, i partiti perdono presa perché persistono a ricorrere a mezzi e procedure scelti quando si trattava soltanto di erudire  i cittadini per ottenerne i voti. Infine l’azione dei partiti perde efficacia, perché, rifacendosi ad ideologie non aggiornate, essa finisce per perdere le masse e per perseguire riforme inadeguate alle mutate attese dei cittadini. Così i partiti continuano a fare da balia a esseri umani che i mutamenti della cultura, degli interessi, della società hanno già resi adulti sotto ogni aspetto.Se così stanno le cose i partiti, se non si curano s’ammaleranno seriamente – come spesso si constata – di sclerosi ideologica, di paralisi strutturale, di impotenza politica, nonché intrusioni e collusioni di ogni genere. Il tutto accentuerà la disaffezione degli iscritti per ciascun partito e  la contestazione dei cittadini per il sistema dei partiti. Ma quel che è più grave, la senescenza impotente porterà i partiti a non poter più esercitare la loro funzione naturale di ponte tra i cittadini e la comunità. Questa non percepirà più i servizi che da essa attendono i cittadini. Le istituzioni comunitarie non intenderanno quali servizi è bene rendano. I cittadini, stanchi, finiranno per ripudiare l’intero sistema democratico.Il rimedio è ancora uno solo: riportare all’origine della vita di ogni sistema comunitario anche il sistema democratico dei partiti. Il che può avvenire riconoscendo e consentendo anche in pratica al cittadino, col diritto di partecipare a tutte le decisioni che lo riguardano in campo statuale, anche quello di partecipare alle decisioni che lo riguardano in campo partitico, senza il frapporsi di impedimenti o verticistici o strutturali di base.Si suole dire che i partiti o sono di programma o sono di mediazione, benché non sia facile immaginare un mediatore che non abbia almeno nel retrobottega del proprio cervello un programma, e non sia neppure facile avere un programma senza la recondita disposizione ad attenuarlo quale prezzo della pur incompleta sua accettabilità da parte di altri.L’esperienza pone di fronte a partiti che sono entrati in crisi, rispetto alla crescita della società, perché si sono adagiati ai comodi di essere un partito di iscritti, cioè di educati a ritenere pienamente valido quanto il partito – non si sa a quale vertice – con o senza ampia discussione ritiene di proporre. La caricatura di questo tipo di partito è stata realizzata nel partito unico dei regimi totalitari. Ma è opportuno riconoscere che minicaricature si ritrovano, sempre più frequenti, anche nei sistemi democratici. Ed è per ciò che questi soffrono anche per la crisi dei partiti solitamente rappresentativi e correttamente funzionali.Se l’esperienza così parla, il rimedio è ormai evidente. Bisogna trasformare i partiti, da raggruppamenti di iscritti supportanti a raggruppamenti di elettori. Cioè da partiti che addottrinano a partiti che si addottrinano. E lo fanno ascoltando, registrando, accogliendo, soddisfacendo quanto di valido i cittadini propongono, chiedono, approvano, criticano.Un’apertura sulla società sarà il primo atto di rigenerazione dei partiti democratici. Il secondo atto di rigenerazione sarà quello di ricevere dagli stessi elettori, come dirigenti, quelli ai quali essi hanno dato mandato di rappresentarli nelle istituzioni pubbliche. Il terzo atto di rigenerazione sarà di dare a tale dirigenza quale area operativa, oltre quella delle assemblee per cui è stata eletta, anche quella dei collegi degli elettori che l’hanno eletta. Nella prima area eserciterà la delega ricevuta, promuovendo decisioni; nella seconda area renderà conto delle decisioni adottate, ne illustrerà la portata, ne recepirà le critiche, per proporre adeguate correzioni.In questo modo si restituirà ai partiti democratici la funzione propria di ponte tra le attese dei cittadini e le attuazioni delle istituzioni, e tra queste attuazioni e le critiche dei cittadini. Nel contempo i cittadini godranno del diritto di partecipare alle decisioni della politica non solo nei giorni in cui quali membri del popolo sovrano sono chiamati a votare, ma tutti i giorni, in quanto membri attivi della vita, delle decisioni, delle attuazioni dei partiti, chiamati ad accertare i problemi, a definirne le soluzioni, a delegare attuazioni di cose e controllarne l’esecuzione.
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