ll matematico credente non solo non è un personaggio raro ed eccentrico, ma appare più che mai in sintonia con il nuovo approccio con il quale viene accolta dalla cultura la scienza di Pitagora e di Fermat. «Proprio ora si scopre (anzi: si riscopre) che la matematica è legata alle intime corde dell’essere umano. In altre parole, è fortemente intrecciata con le domande più profonde che ci poniamo» osserva Giandomenico Boffi, ordinario di Algebra all’Università di Chieti-Pescara.
Professore, Richard Dawkins, biologo evolutivo nonché membro della Royal Society, che insegna comunicazione scientifica a Oxford, arriva quasi ad affermare che, prima di essere ammessi a una facoltà di scienze, si debba sostenere l’esame di ateismo. «L’idea che lo scienziato, e in particolare il matematico, debba essere ateo non solo viene smentita dai fatti, ma è metodologicamente scorretta. Matematica e teologia sono campi fra i quali vedo utile un confronto, non un’interferenza. Dire – come fanno alcuni – che il credente è inadatto agli studi scientifici, e a quelli matematici in particolare, credo sia come dire che la Bibbia può confermare la correttezza di un certo teorema. Una bestialità, perché le affermazioni bibliche da un lato e i teoremi matematici dall’altro sono – da un punto di vista epistemologico – non confrontabili fra loro».
Lei parla di una evoluzione della matematica, che viene incontro agli interrogativi di fondo dell’uomo. Di che cosa si tratta? «Più che la considerevole evoluzione interna della matematica, che è un fatto specialistico, credo che ciò che colpisce maggiormente sia un certo modo nuovo di concepire questa disciplina, che ne mette in luce un valore più umanistico. La matematica è stata spesso circondata da un’aura di mistero. Ha spesso avuto la proprietà di incutere soggezione, soprattutto in chi non la conosce e non la pratica. Si è spesso imposta un’idea della matematica come mero calcolo logico-formale, delegabile (al limite) a una macchina sofisticata, capace di 'sputar fuori' tutti i teoremi».
Da che cosa nasceva questa idea della matematica? «All’inizio del Novecento, penso si alimentasse del disagio per alcuni problemi relativi ai fondamenti della matematica. Perciò si cercava di porla su basi molto solide, riducendola a calcolo formale. Ma poi, nel corso del XX secolo, l’idea è stata ridimensionata, soprattutto dopo il lavoro di Kurt Gödel. Come sostiene Roger Penrose in un suo libro famoso, la matematica non può essere ridotta soltanto a calcolo formale perché ci sono affermazioni matematiche che riteniamo vere non in virtù del loro legame sintattico con il sistema assiomatico, ma in virtù del loro significato. Insomma, dobbiamo capire meglio che cos’è questa matematica, che viene elaborata da millenni e a varie latitudini da homo sapiens sapiens, ma che non sembra avere la capacità di autofondarsi, di autocostituirsi. Le nostre conoscenze matematiche, pur altamente validate, sono in qualche modo provvisorie, come tutte le conoscenze umane, del resto».
Ma allora la matematica è in evoluzione o è in crisi? «Oggi la maniera di dimostrare i teoremi di Euclide è più sofisticata. Le dimostrazioni date da lui non sono più ritenute del tutto soddisfacenti secondo i nostri canoni. Tuttavia i suoi teoremi continuano a essere considerati corretti. E non è un caso isolato. Negli ultimi 2500 anni, la matematica, pur accrescendo enormemente i propri contenuti, ha mostrato una considerevole stabilità. Ma questa stabilità è stata assicurata da una comunità matematica capace di fronteggiare con fantasia sfide nuove (magari provenienti da esigenze scientifiche, tecniche e sociali), di rileggere con occhi nuovi le cognizioni acquisite, e anche di porre rimedio a imprecisioni ed errori del passato. Non si toglie nulla agli altissimi livelli di rigore della matematica, se si ammette che le sue acquisizioni sono storicamente connotate. Anzi le si restituisce uno spessore umanistico, che invece talvolta sembra riconosciuto solo ad altre discipline. Per esempio alle scienze sociali».
E quale rapporto possono avere con la matematica? «Le scienze sociali non hanno certo il canone di rigore della matematica, ma si occupano di dimensioni dell’esperienza umana di cui la matematica non può farsi carico se non molto parzialmente. Credo sia opportuno inserire la matematica nell’orchestra di tutte le discipline, per operare una sintesi che mostri attenzione alle fondamentali domande su che cosa è l’uomo. E qui - detto per inciso - c’è anche spazio per la teologia, perché anche in base all’idea di Dio che uno ha (o non ha), ci si forma un’idea dell’uomo e del cosmo, e viceversa».
Un esempio concreto di questa sintesi? «Prendiamo la meccanica quantistica. E’ un approccio fortemente matematizzato al microcosmo, che sta benissimo all’interno della fisica e di per sé non ha bisogno di confrontarsi con la filosofia o con la teologia. Tuttavia la meccanica quantistica è una teoria molto ricca e interessante, emersa nel corso del XX secolo, e sarebbe un peccato se la società contemporanea non ne percepisse le sfide più propriamente culturali. La meccanica quantistica è stata fortemente innovativa; può forse suggerire – al nostro modo di concepire la materia, l’uomo e Dio – qualcosa di diverso da ciò che suggeriva la fisica classica».
È la dimensione sapienziale che rompe il ghiaccio e può spingere il matematico verso la fede? «Ritengo che ogni studioso possa e debba inquadrare in un contesto più ampio le conoscenze e la sensibilità che acquisisce attraverso la propria disciplina, quindi anche attraverso la matematica. La fede può aiutare a non trascurare questa opportunità. Di fatto si sono avuti tanti matematici che non facevano mistero della propria fede, tanto da affermare (come Ennio De Giorgi al Congresso Internazionale dei Matematici, a Varsavia nel 1983), che la sete di conoscenza dell’uomo è 'il segno di un desiderio segreto di vedere qualche raggio della gloria di Dio'. Poi, certo, ci sono i matematici che credono, ma riescono meno bene ad armonizzare la loro attività intellettuale con la fede. E’ la separazione tra fede e vita che affligge anche tanti non matematici. E che probabilmente dipende dal fatto di non 'pensare' la propria fede in modo adeguato, ma di viverla prevalentemente a livello emotivo e sentimentale ».