Se fosse stato per lui probabilmente non avrebbe accettato nemmeno un mezzobusto di pietra. Non amava essere ritratto, tanto meno farsi fotografare. Ma per la sua gente Crazy Horse, Cavallo Pazzo, è stato il più grande fra tutti gli Indiani d’America: più grande di Nuvola Rossa, di Coda Chiazzata e dello stesso Toro Seduto. Le sue imprese sono entrate nel cuore di un popolo, per l’audacia e la generosità senza eguali. Così sessant’anni fa i nativi americani promossero l’idea di uno scultore di Boston, Korczak Ziolkowski, di scolpire un’intera montagna di granito sulle sembianze del leggendario capo dei pellerossa. Dopo 34 anni di lavoro, Ziolkowski, morto nel 1982, non è riuscito a vedere ultimato il suo capolavoro. Ma anche oggi non siamo nemmeno a metà dell’opera. Sulle Black Hills (Sud Dakota), le colline statunitensi sacre agli Indiani d’America, per ora si vede solo la sagoma di un volto scavato nella roccia. Il progetto, a dir poco ambizioso, vuole farne il monumento più imponente del mondo: oltre 170 metri di altezza e quasi 200 di larghezza. Soprattutto dovrà essere dieci volte più grande di quello eretto dal 1927 al 1940 su un altro monte delle Black Hills (il Rushmore) con le teste di 4 presidenti degli Stati Uniti ( Washington, Jefferson, Roosevelt e Lincoln). Per gli indigeni americani questa iniziativa fu una provocazione, perché proprio l’invasione di quelle colline da parte dei bianchi aveva scatenato la «grande guerra» del 1876-77, costata la vita a Cavallo Pazzo. Dopo la scomparsa di Ziolkowski, è nata una fondazione no profit per sostenere il completamento del Memoriale, che è già un’attrazione per migliaia di turisti, ancor più quest’anno con le celebrazioni del 60° anniversario. Si rinnova così l’epopea dell’eroe dei Sioux, che nella sua pur breve esistenza ha lasciato un alone mitico indiscutibile. Una serie innumerevole di leggende circola sulla sua figura, su cui permangono ancora molti misteri. Ecco perché appare imprescindibile il saggio avvincente di Kingsley M. Bray Cavallo pazzo. Il grande condottiero del Little Bighorn (Mondadori, pp. 534, euro 26) che ne ricostruisce la biografia con fonti copiose e poco note. Sin da quando venne alla luce quell’indiano stranamente «Ricciuto» e «Dai biondi capelli». Correva l’anno 1840, per i Lakota, la tribù dei Sioux da cui proveniva, era la stagione passata alla storia come «Quando rubammo cento cavalli». In quel tempo i coloni americani stavano diventando brutali conquistatori del West a danno degli indiani d’America. Cavallo Pazzo seppe ridestare l’orgoglio del suo popolo portandolo alla vittoria nell’epica battaglia del Little Bighorn quando sconfisse le Giubbe Blu del generale (in realtà tenente colonnello) Custer. Dicono che Crazy Horse fosse invulnerabile alle pallottole, in virtù di poteri soprannaturali. Il libro dello storico americano dimostra come l’indomito coraggio e la saggezza erano frutto di una «profonda religiosità ». Cavallo Pazzo aveva appreso il credo lakota, per cui ogni cosa in natura era animata da un’energia misteriosa. Però già a 7 anni «aveva ascoltato con grande attenzione uno strano personaggio in visita agli accampamenti, il padre gesuita Pierre-Jean De Smet». E Kingsley M. Bray cita anche una fonte per cui «grazie a De Smet e altri missionari, Cavallo Pazzo aveva acquisito una conoscenza approfondita di Cristo e della sua vita su questa terra, tanto che l’aveva preso come modello da imitare lui stesso». Certo il libro non ne fa un santino, ricorda le azioni atroci di cui si macchiò nel difendere la propria tribù e qualche «sbandata» dovuta anche alle tragedie familiari, tra cui il suicidio della madre, che lo colpirono quand’era ancora un fanciullo. Riuscì a venirne fuori con lunghe meditazioni; «il mistico guerriero delle Grandi Pianure », si ritirava spesso in disparte per riflettere. Il destino gli voltò le spalle solo alla morte nel 1877, quando vide vanificate le sue conquiste e sperimentò perfino il tradimento di alcuni amici, come quello di Piccolo Grande Uomo, che proprio grande con lui non fu. Ma chi rimase al suo fianco giura che anche nelle ultime ore concitate e oscure, Cavallo Pazzo conservasse il potere del Tuono. L’estrema difesa del generale Custer nella famosa battaglia di Little Bighorn, secondo una litografia d’epoca Il capo indiano Cavallo Pazzo in un ritratto fotografico da studio