Si preannunciano grandi celebrazioni per il ventennale della caduta del comunismo in Europa. Rivendicando il proprio diritto di primogenitura la Polonia festeggerà tra pochi giorni l’anniversario delle elezioni semi- libere che si svolsero il 4 giugno del 1989 e segnarono il trionfo di Solidarnosc. Un terremoto politico che nel giro di pochi mesi avrebbe provocato la caduta dei regimi comunisti nell’Europa dell’Est. Il Muro però iniziò a crollare molto prima del 1989. Dieci anni prima, per la precisione. Fu quando, nel giugno del 1979, milioni di polacchi si strinsero attorno a Giovanni Paolo II, tornato in patria per lanciare il suo guanto di sfida al comunismo. « Non vuole forse lo Spirito Santo che questo Papa slavo proprio ora manifesti l’unità spirituale dell’Europa? » disse a Gniezno, l’antica capitale polacca. Da qui partì l’onda lunga della storia che avrebbe cambiato faccia all’Europa. Lo dice il cardinale Stanislaw Dziwisz che, da segretario personale di Giovanni Paolo II, è stato uno dei testimoni privilegiati di quel memorabile viaggio. In una lunga intervista rilasciata alla « Kai » , l’agenzia cattolica polacca, l’arcivescovo di Cracovia rievoca a distanza di trent’anni il primo pellegrinaggio di Giovanni Paolo II nella sua Polonia, rivelando fatti curiosi e inediti. Ne pubblichiamo ampi stralci per gentile concessione della « Kai » e degli autori Marcin Przeciszewski e Tomasz Krolak. Eminenza, ci può dire quando Giovanni Paolo II cominciò a pensare ad una possibile visita nella sua patria?Già da cardinale Karol Wojtyla dava grande importanza al 900mo anniversario della morte di san Stanislao (il vescovo-martire patrono di Cracovia, ndr) e da tempo preparava le celebrazioni. Aveva tramesso gli inviti a tutti i cardinali che partecipavano al conclave dell’agosto 1978 e subito dopo invitò a Cracovia anche Giovanni Paolo I. Perciò, fin dal momento della sua elezione al soglio di Pietro, è stato per lui ovvio fare tutto il possibile per venire in Polonia a celebrare l’anniversario. Lo sentiva come un dovere morale anche se si rendeva conto che non sarebbe stato facile da realizzare.
Pensava che le autorità comuniste polacche non avrebbero facilmente ingoiato un simile boccone?Quando hanno saputo di questa richiesta i governanti polacchi hanno reagito negativamente. Ma intanto Giovanni Paolo II aveva ricevuto l’invito a visitare il Messico. E diceva: se posso andare in Messico, un Paese che ha la Costituzione più anticlericale del mondo, allora anche il governo polacco non potrà dirmi di no. Si ricordava bene che le autorità comuniste non avevano permesso la visita di Paolo VI. Intuiva però che a lui non avrebbero potuto impedirlo.
Quando iniziarono le trattative?Abbastanza presto. Il negoziato fu condotto dal segretario della Conferenza episcopale polacca, monsignor Bronislaw Dabrowski. Alla fine Varsavia diede il via libera ma ad una condizione: la visita del Papa non doveva avvenire in coincidenza con l’anniversario di san Stanislao, a maggio. Il Santo Padre rispose: va bene, vuol dire che arriverò il mese dopo, a giugno.
E per quanto riguarda l’itinerario della visita, ci furono difficoltà?Venne stabilito che il Papa non sarebbe potuto andare al di là della Vistola, nelle regioni della Polonia orientale. E fu esclusa anche la Slesia. In linea di massima le autorità volevano che la visita fosse il più breve possibile e molto limitata negli spostamenti.
Giovanni Paolo II pensava alle possibili ripercussioni del suo viaggio sugli eventi futuri?Nessuno le poteva prevedere. Lui era convinto che la nazione polacca, così fortemente radicata nella fede, meritasse la visita del Papa. Oggi senza dubbio possiamo dire che il suo primo pellegrinaggio in Polonia è stato il più importante di tutti i viaggi papali perché ha innescato un processo di cambiamenti incredibili a livello mondiale. Tutto iniziò in quei giorni.
Come si preparava il Santo Padre a questo viaggio?Scrisse da solo tutti i testi dei discorsi e delle omelie. Il ruolo della sezione polacca della Segreteria di Stato fu solo quello di controllare le citazioni. Non usava nessun appunto, gli bastava la memoria. Era organizzato in modo perfetto e scriveva molto velocemente: un lungo discorso non gli prendeva più di un’ora e mezzo di preparazione.
Ma Giovanni Paolo II si rendeva conto che il discorso pronunciato a Gniezno, là dove affermava che la missione del Papa slavo era quella di far riscoprire all’Europa l’unità fra Occidente ed Oriente, metteva in discussione l’Ostpolitik vaticana che di fatto accettava la situazione esistente?iovanni Paolo II ha sempre rifiutato la dottrina del "compromesso storico" secondo cui l’occidente ed anche la Chiesa avrebbero dovuto considerare il marxismo come un elemento decisivo dello sviluppo della storia. Lui era a favore dei diritti della persona e dell’intoccabile dignità dell’uomo. Il discorso di Gniezno segnò l’inizio della caduta della cortina di ferro che allora divideva l’Europa. Il crollo del Muro è cominciato lì, non a Berlino!
Ma non c’erano preoccupazioni anche in Vaticano per il fatto che Giovanni Paolo II stava andando troppo lontano?Una così forte dichiarazione a favore di questi diritti in effetti ha spaventato alcuni, fra i quali anche uomini di Chiesa.
A Cracovia, nel corso di quel primo viaggio, il Papa si affacciò alla finestra dell’arcivescovado parlando con i giovani, un dialogo che si sarebbe poi ripetuto ad ogni sua visita in Polonia. Fu qualcosa di programmato?No, fu un’iniziativa assolutamente spontanea. Migliaia di persone aspettavano sotto la finestra e chiamavano il Papa. Bisognava in qualche modo farsi vedere. Il Santo Padre prese la decisione da solo, contro qualcuno del suo entourage che lo sconsigliava per motivi di sicurezza.
A suo avviso, qual è il senso più profondo del suo primo pellegrinaggio in Polonia?Dopo questa visita la Polonia non è stata più la stessa. La gente ha rizzato la schiena, non aveva più paura. Giovanni Paolo II ha liberato l’energia interiore del popolo. In questo senso ha posto le basi spirituali per la nascita di Solidarnosc l’anno dopo.
Al suo rientro in Vaticano Giovanni Paolo II fece qualche commento sulla visita?Non diceva nulla perchè aveva perso la voce. Al suo rientro era molto stanco, dormì per quattordici ore filate.
Parliamo dello stato di guerra, introdotto dal generale Jaruzelski nel dicembre 1981. Quale fu la reazione del Papa?Giovanni Paolo II raramente dimostrava la sua preoccupazione. Però alzò forte la voce nella basilica di San Pietro alla presenza della delegazione polacca con alla testa il presidente Jablonski. Questo avvenne nell’ottobre del 1982 in occasione della canonizzazione di padre Kolbe. Il Papa disse: la nazione non si meritava quello che gli avete fatto.
Ma Giovanni Paolo II aveva preso in considerazione la possibilità di un’invasione sovietica della Polonia?Nessuno la prendeva seriamente in considerazione, dato che i sovietici erano già impegnati in Afghanistan. Sapevamo che l’Urss non se lo poteva permettere. Su questo avevamo notizie precise direttamente dalla Casa Bianca, le abbiamo ricevute da Zbignew Brzezinski (all’epoca consigliere per la sicurezza nazionale,
ndr) e dallo stesso presidente Reagan il quale chiamò personalmente il Papa.
Qual era il rapporto di Giovanni Paolo II con il generale Jaruzelski? Lui continua a dire che lo stato di guerra fu il male minore rispetto all’invasione sovietica...Il Papa non ha mai accolto una simile interpretazione. Rispettava l’intelligenza e la cultura di Jaruzelski ma non era d’accordo con lui su nulla. Il generale Jaruzelski guardava esclusivamente ad Est. Al contrario di Edward Gierek (l’allora segretario del partito comunita polacco,
ndr), il quale salutando il Papa alla fine del suo viaggio disse: qui a Varsavia soffiano i venti dell’Est e dell’Ovest. Santo Padre, lei sostenga quelli dell’Ovest.
Passiamo all’attualità. Per quando ci possiamo aspettare la canonizzazione di Giovanni Paolo II?Questo dipende direttamente da Benedetto XVI. Mi sembra comunque che le cose vadano molto bene. il procedimento per il miracolo è già in moto. E sarà decisivo il riconoscimento dell’eroicità delle virtù di Karol Wojtyla. Speriamo che il diavolo non ci metta la coda.
Lei Eminenza ha sentito qualche volta la presenza del diavolo?Sì, l’ho sentita. Nel modo più forte quando il diavolo è stato scacciato da una giovane donna. Ero presente, so cosa vuol dire. E’ terribile avvertire la presenza di una forza così grande e incontrollabile. Ho visto come la maltrattava fisicamente, ho sentito la voce con cui lei gridava. Accadde dopo un’udienza generale. Giovanni Paolo II recitò gli esorcismi, ma niente. Allora disse che il giorno dopo avrebbe celebrato la Messa secondo le intenzioni di questa ragazza. E dopo questa Messa lei improvvisamente si è ritrovata come fosse un’altra persona, tutto era sparito. Prima non ci credevo, pensavo che si trattasse di una malattia psichica. Invece Satana esiste.
E come riconoscere la sua presenza nel mondo?Satana esiste, anche se l’ideologia dominante ritiene che siano tutte favole. Oggi il demonio lavora affinchè gli uomini credano che lui non esiste. È un metodo quanto mai perfido.