Alla storia della canzone Stefano D’Orazio passerà come batterista, cantante e paroliere dei Pooh. E può darsi rimarranno di sfondo sia la sua attività di autore di musical che quella di scrittore: mestiere quest’ultimo che peraltro, come conferma la già raggiunta seconda edizione di Non mi sposerò mai!, sua arguta e spassosa “antiguida” al matrimonio edita da Baldini+ Castoldi pochi mesi fa, gli permette di arrivare ancora al pubblico senza rinunciare al mix fra sensibilità e humour che lo caratterizza. Ma dietro il D’Orazio guascone, se vogliamo nazional-popolare, c’è di più: una persona attenta al mondo intorno con sarcasmo e lucidità, un professionista capace di darsi sino allo stremo alternando inventiva a profonde analisi dello stato dell’arte, un ex ragazzo di borgata facile a empatia, tenerezza, commozione più di quanto voglia mostrare. Molto di tutto ciò, in fondo, si evince bene già dai testi da lui scritti per i Pooh; però crediamo sia ancora tutta da rivalutare l’importanza del manager insito in Stefano D’Orazio. Il quale è uno dei pochissimi artisti d’alto profilo di questo Paese che siano stati capaci di rimanere sulla cresta dell’onda per decenni anche costruendosela da sé sin dalle fondamenta più prosaiche, l’onda del successo.
D’Orazio, partiamo dal successo del suo libro. Ma cosa l’ha spinta a raccontare le sue (tardive) nozze?
Mi sono sposato per cautelare la mia compagna dalla burocrazia: a settant’anni mi sembrava giusto. Così ho anche messo un punto fermo alla mia vita. Il libro è stato… involontario: è che quando mi sono accorto che per sposarsi oggi ci vuole il flower stylist, mi è stato chiaro che nella vicenda c’erano abbastanza spunti comici per rileggerla coi miei paradossi.
Nel brano 50 primavere cantò con ben altro stile le nozze, ri- ferendosi a quelle d’oro dei suoi genitori…
Difatti non osavo sposarmi anche perché ero convinto di non poterli emulare… I tempi sono diversi, temo.
Domanda al D’Orazio manager dei Pooh: quanto e cosa è cambiato, nella musica, dal 1966 a oggi?
La differenza è che ora è tutto preconfezionato. Noi suonavamo per emozionare, c’era un percorso di messa in discussione, sperimentazione, aggregazione prima del successo: girando posti improbabili aggiustavi il tiro e trovavi la tua maniera di esprimerti. Oggi la musica si trova fatta nei computer, si fa da soli, i talent chiedono tutto e il contrario ma non di far uscire una propria dimensione; perciò si dura poco.
Cosa significava produrre i Pooh, per dire, nel ’78?
Tenere un ritmo preciso: due mesi per comporre, uno per provare, poi nascevano i testi quindi in altri due mesi si incideva. Bisognava impegnarsi molto. Senza contare che ogni volta, a nostre spese, andavamo alla ricerca del nuovo: dalla tecnologia in poi. Credo che oggi di tutto questo manchi soprattutto il tempo, ai giovani: avere tempo per scrivere, e per crescere.
Come se ne esce dalla prospettiva di un manager?
Se pensa che il disco di platino era a un milione di copie e oggi con ottomila sei primo nelle hit, è chiaro che solo i tour salvano l’industria. Tanto che i discografici sono entrati pure nei live: prima li vivevano come un fastidio, una distrazione.
La reunion dei Pooh è stata gestita in toto da un’agenzia, come tutti i grandi eventi di oggi. Per voi artisti meno lavoro ma immagine omologata… O no?
Sì! Eppure non c’è altro. La nostra struttura di ieri era insostenibile, oggi è normale si ordinino effetti speciali un tanto al chilo a chi li noleggia. Ma inventare era bello: passavi tre mesi coi fabbri in un capannone arrivando a uno show davvero tuo.
Quindi, considerato quanto ci ha detto, meglio ieri?
No, non credo che la musica di oggi sia più brutta del nostro beat sgangherato degli esordi, in realtà. Forse è solo finito il vivere di rendita di quanto nacque con noi: e adesso sta nascendo altro.
Passando al D’Orazio dei musical: quando riparte?
«Voglio riattivarlo. Se riesco porto già qualcosa a debuttare per settembre 2019, altrimenti nel 2020.
Le ultime domande sono al Pooh, anzi all’ex-Pooh: sono appena usciti cd e dvd dell’ultimo concerto del 30 dicembre 2016 a Bologna. Speculazione necessaria?
«Bisogna chiedere in Sony. Utilizzano diritti che hanno e, appunto, oggi si ripete tutto. Solo che noi abbiamo finito gli “ultimi”: ed eviterei l’ultimo respiro… (ride, nda) Ma quel dvd rispetto a quello di San Siro è un’altra cosa, lì era davvero la fine.
Le mancano i Pooh?
Vede, anche quella sera ero magari più consapevole dei colleghi ma non certo disincantato, l’emozione c’era. Però no, non mi mancano. Io li ho vissuti.