venerdì 11 ottobre 2024
Da Manuzio e Bodoni allo schwa, la tradizione tipografica italiana punta a una comunicazione più inclusiva attraverso innovazione e design. La ricerca dello studio fiorentino Zetafonts
“Coppa Stadio”, il primo torneo italiano di poster design calcistico, ideato da Zeta-fonts in occasione del revival del carattere "Stadio" di Aldo Novares

“Coppa Stadio”, il primo torneo italiano di poster design calcistico, ideato da Zeta-fonts in occasione del revival del carattere "Stadio" di Aldo Novares - Zetafonts

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Cosa significa oggi fare promozione della cultura tipografica? Come sta cambiando la tipografia editoriale con l’avvento del digitale? Come si ottengono caratteri sempre più inclusivi? Ne abbiamo parlato con Cosimo Lorenzo Pancini, designer di caratteri, artista grafico ed educatore, uno dei tre soci – con Debora Manetti e Francesco Canovaro – di Zetafonts, fonderia di caratteri indipendente con sede a Firenze, fondata nel 2001, con la volontà di combinare lo studio della tradizione tipografica italiana con la ricerca sulle tendenze contemporanee del design e un approccio pop alla comunicazione. Zetafonts ha creato in poco più di vent’anni oltre duemila font, appartenenti a più di cento famiglie tipografiche, occupandosi del disegno dei caratteri digitali, conosciuti come font: «Negli anni ’70 – racconta Pancini – il grafico Massimo Vignelli disse che bastavano otto famiglie di caratteri per fare grafica. E invece oggi se ne usano più di 500mila, perché i caratteri tipografici danno il tono di voce alla scrittura, come un doppiatore in un film, e aiutano a definire il target nella comunicazione». Tra i lavori di cui si è resa protagonista Zetafonts c’è anche la creazione di caratteri custom per il Parlamento Europeo e importanti brand, nella direzione di una sempre maggiore inclusione: «Il digitale – spiega Pancini – ha portato a una necessità comunicativa, quella della transnazionalità e dell’inclusione. Nel nostro lavoro per il Parlamento Europeo, a parte la chiarezza e leggibilità dei caratteri, abbiamo lavorato per rispettare tutti gli accenti diacritici delle 24 lingue ufficiali della Comunità Europea». Sempre in termini di inclusione, un altro tema di attualità è l’esigenza di andare incontro a una tipografia con una comunicazione sempre più globale e inclusiva, pensata per un pubblico internazionale: «Tutto ciò – dice Pancini – implica un’ampia gamma di azioni, dal design di glifi necessari per una comunicazione contemporanea (come lo schwa), fino alla progettazione di caratteri per scritture non latine, come l’arabo o il devanagari. Da un anno stiamo portando avanti un lavoro tipografico inclusivo che comprende il carattere Dialogue e lo sviluppo di progetti in collaborazione con type designer del Medio Oriente, facendo convivere alfabeti arabi ed ebraici. Per noi, i caratteri tipografici non sono solo strumenti, ma un modo per creare cultura e dialogo. Disegnarli richiede un costante aggiornamento del vocabolario visivo e dei riferimenti culturali. È un campo vasto, che va dalla geometria sacra rinascimentale all’estetica razionalista del Bauhaus, dalle interfacce di iPhone e Google fino alle nuove frontiere del linguaggio inclusivo». Nel mondo dell’editoria, complici nuove generazioni di lettori, potrebbe esserci oggi un altro punto di svolta: «In Italia – dice Pancini – l’editoria ha una tradizione legata al Simoncini Garamond, disegnato dall’omonimo tipografo francese nel Cinquecento e rivisto dal tipografo bolognese Simoncini nel 1958, su commissione di Einaudi. La storia dell’editoria e quella dei caratteri sono in qualche modo parallele, con Manuzio nel Cinquecento e Bodoni nell’Ottocento che hanno rivoluzionato la tipografia italiana e non solo. In inglese i caratteri corsivi si chiamano italic perché fu un italiano, Manuzio, nel 1501, a introdurli nella stampa. Il ’900 ha segnato poi l’avvento di caratteri più modernisti come l’Helvetica negli anni ’60 – che è diventato il carattere per eccellenza della grafica razionalista, come quella per la Metropolitana di New York». Il postmoderno ha portato a una nuova ondata di inventiva, con una stagione d’oro negli anni ’90, ma l’Italia sta un po’ perdendo il suo primato, tenuto fino ad allora grazie ad autori come Aldo Novarese, disegnatore di Eurostile, che fu un successo mondiale. «Oggi – spiega Pancini – la tipografia è essenzialmente quella razionalista, senza grazie, di matrice tedesca. Un’osservazione interessante in questo momento arriva dalla letteratura “young adult”: la fascia di lettori 12-14 anni è abituata a leggere su schermo, quindi con i nativi digitali potremmo assistere a un passaggio dai caratteri graziati a quelli senza grazie. È un cambiamento epocale; in alcune riviste sta già accadendo». Un’ultima riflessione Pancini la fa su cosa significhi fare promozione della cultura tipografica, raccontando alcuni progetti in essere: «Il nostro “TypeCampus” – dice – fornisce agli studenti di design un modo per essere informati sulla tipografia e le tendenze della cultura visiva contemporanea. Poi promuoviamo l’iniziativa “Fight for Kindness”, una call internazionale di opere di design dedicate al tema della gentilezza. Inoltre sosteniamo la tradizione tipografica e la cultura italiane con operazioni di recupero di caratteri dimenticati, come Stadio di Aldo Novarese, con la creazione del primo torneo tipografico calcistico italiano. Non mancano infine omaggi alla cultura enogastronomica (il carattere Artusi realizzato per la Fondazione Casa Artusi) e letteraria, con il carattere Calvino di Andrea Tartarelli del quale, in occasione dell’anniversario della nascita, il prossimo 15 ottobre, pubblicheremo una variante che prende il nome da un suo personaggio che amiamo molto: Marcovaldo».



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