La scalatrice iraniana Nasim Eshqi al Prix Italia 2023 della Rai a Bari - Foto di Eleonora Ferretti
Il grido delle donne contro l’oppressione arriva da Iran e Afghanistan direttamente al Prix Italia della Rai che si conclude a Bari domani. E lo fa attraverso il mezzo dei podcast radiofonici, uno della Rai e uno di Radio France, che raccolgono storie vere rispettivamene di donne iraniane e afghane direttamente dalle loro voci.
La prima ad avere dato voce pubblica a tante donne i cui diritti vengono calpestati nell’Iran odierno è Nasim Eshqi, alpinista professionista iraniana, che ieri sera ha commosso il pubblico all’evento live in piazza Ferrarese per il Prix Italia basato sul podcast Nasim, Iran verticale realizzato per RaiPlay Sound con Francesca Borghetti.
"Come sapete, quando arrivano notizie come quella di Armita Geravand è già troppo tardi. Questo è un altro segno del fatto che anche l'Occidente deve iniziare a pensare di salvarsi. Questo regime estremista iraniano e anche islamico arriva anche in Europa. Ora magari non lo sentiamo come un pericolo, ma forse quando ne prenderemo tutti coscienza sarà troppo tardi". Nasim parla a poche ore dalla tragedia della sedicenne Armita Geravand in fin di vita in Iran dopo uno scontro con la polizia morale perché non indossava il velo. Nel podcast in cui Nasim è protagonista, lei racconta la sua storia di giovane ragazza a cui viene imposto il velo a 7 anni, “l’inizio di un processo di subordinazione della donna ai maschi” relegate in casa o separate dal resto della società dice, il ferreo controllo della polizia islamica e la scoperta a 15 anni delle arti marziali, praticate di nascosto dalla famiglia, “in cui incanalare la mia rabbia”. Quando le viene proposto di gareggiare all’estero ma indossando il velo, decide di abbandonare la kickboxing di cui è una campionessa “per non fare propaganda al regime”.
Ma lo sport le ha insegnato una cosa: “Ho imparato a resistere e a credere in me stessa, ho mparato che la parola “forte” può appartenere anche a una donna”. Si imbatte per caso nell’arrampicata, l’incontro con la nuova dimensione in cui, nonostante i controlli, si arrampica coi capelli lunghi liberi al vento, gareggia anche in Italia e scopre come le donne vivono in Europa: inizia così a insegnare l’arrampicata alle donne, creando, nonostante i divieti, anche gruppi misti con i maschi. “Non è importante se sei uomo o donna, ricco o povero, la gravità ci tira giù tutti allo stesso modo” aggiunge.
Nasim Eshqi è fuggita un anno fa dal suo Paese a seguito della morte di Mahsa Amini. “Fino ad ora sono sempre ritornata in Iran, ma dopo l’uccisione di Mahsa anche io sono morta con lei – racconta -. Ma è nata una nuova Nasim che non voleva più stare in silenzio. Voglio essere la voce delle ragazze che vivono sotto oppressione, delle ragazze che sono morte di gravidanza all’età di 10 anni”. Le sue pagine social sono diventate un megafono delle proteste. "Gli occidentali non pensano che sia un problema diretto per la loro libertà e i loro diritti - spiega alla stampa - ma vi assicuro che può arrivare anche qui di colpo. Come è accaduto già in Iran dove la situazione, in particolare delle donne, è cambiata di colpo. Nel 1979 da donne libere sono diventate all'improvviso persone senza diritti". E aggiunge amaramente: "È importante dire che in Europa non lo sentiamo ora questo pericolo, ma l'estremismo può arrivare molto velocemente. Attraverso il mercato del petrolio, dove girano molti soldi, loro possono imporre la religione islamica anche qui. È successo già qui, con il caso della giovane pachistana Saman, uccisa in Italia. Loro non accettano questo ruolo della donna e per questo la uccidono: ma una loro figlia uccisa è anche una vostra figlia uccisa, una cittadina italiana. E continueranno a farlo, gli italiani e gli europei purtroppo non lo sentono ancora in modo così chiaro". Come contrastare questo pericolo? "Per prima cosa l'Europa - conclude - deve iniziare a risolvere la questione con le compagnie petrolifere. L'Europa deve essere cosciente di tutte le relazioni con le compagnie petrolifere, possiamo tagliare ancora di più i nostri rapporti con il regime islamico e in particolare con le compagnie iraniane".
Tra i finalisti del concorso internazionale del Prix Italia nella sezione podcast, il cui vincitore verrà decretato domani, c’è il fortissimo lavoro della regista belga Caroline Gillet per Radio France Inside Kabul, che è anche diventato un film animato per Bbc e France Television, disegnato da Kubra Khademi un artista afghano esule in Francia. Incontriamo a Bari la giornalista che per due anni ha raccolto le voci di due ragazze afghane tramite messaggi vocali whatsapp. Inside Kabul è un progetto podcast in nove episodi che segue le vite parallele di due giovani donne afghane, Raha e Marwa, da quando Kabul è caduta nelle mani dei talebani. Ognuno di loro attraversa il suo primo anno sotto il dominio talebano, con Raha che rimane a casa a Kabul e Marwa che fugge e alla fine finisce in un campo profughi ad Abu Dhabi. Mentre raccontano le loro storie, Inside Kabul si concentra sulle molte difficoltà che affrontano come giovani donne afghane poco più che ventenni, coinvolte in una serie di eventi tumultuosi a partire dall'estate del 2021. Il loro mondo viene capovolto da un giorno all'altro, proprio mentre stanno diventando maggiorenni. Le loro esperienze sollevano domande sull'indipendenza, la libertà e la femminilità comuni a tutte le donne. Ma date le circostanze di Raha e Marwa, le loro risposte sono particolarmente toccanti.
“Non sono mai andata in Afghanistan – racconta la Gillett ad Avvenire – ma quando i talebani sono arrivati al potere nell’agosto 2021 mi sono detta che volevo sapere cosa succedeva, avevo voglia di entrare nelle case, e soprattutto di incontrare le donne e capire come può vivere una ragazza quando vede arrivare questi terroristi. Ho chiesto a due ragazze afghane ventenni, amiche di amici, se mi potevano mandare dei messaggi vocali per raccontare la loro vita quotidiana. Ho ricevuto da loro più di mille note vocali dall’Afghanistan – spiega la giornalista –. Ora sono ambedue in Europa grazie all’aiuto di Reporter sans frontieres. Quando è iniziato il lavoro vivevano ambedue a Kabul, poi una è potuta partire e si è trovata per sette mesi in un campo profughi ad Abu Dhabi, e mi mandava le note dal campo, l’altra è rimasta in Afghanistan ancora un anno e mezzo ed ha vissuto l’oppressione sempre più del regime talebano. Quella che è rimasta si è dovuta sposare perché l’unico modo di uscire dal Paese è avere un compagno”.
Ma come era la loro vita precedente? “Loro erano studentesse e lavoratrici, due amiche che in Afghanistan lavoravano nella stessa start up ed avevano una vita normale, lavoravano in ufficio anche con altri ragazzi, andavano alle feste di matrimonio – racconta -. Queste ventenni sono cresciute in un Paese relativamente libero. Il cambio improvviso è stato molto forte e duro: tutto è stato chiuso e loro sono dovute restare in casa”. Queste due ragazze di 22 e 23 anni hanno corso anche moli rischi per mandare le loro testimonianze alla giornalista: “Dovevano fare molta attenzione alla polizia, dapprima registravano in mezzo alla strada, poi in casa. Bisognava cancellare tutti i vocali, e cancellare tutti i riferimenti personali. Abbiamo fatto un gran lavoro con gli specialisti della sicurezza per proteggerle”.
Importante che la voce di queste donne esca dal loro Paese, perché il loro è un problema di tutti. “Queste ragazze pur lavorando nelle Ong all’inizio non erano cosi consapevoli, ma partecipando a questo progetto sono cresciute e si sono rese conto di essere diventate portavoci delle donne dell’Afghanistan ed è stato commovente vedere il loro impegno. – aggiunge Caroline -. Spero di vincere il premio perché è importante per loro e per illuminare la situazione delle donne afghane”.