mercoledì 18 marzo 2015
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​Allora ripensa, la Bambina, a quando tutto ebbe inizio. L’odore dei libri vecchi ben disseccati dal tempo, quando non ci sono muffe né topi, negli armadi-libreria di campagna, con la parte davanti a listelli intrecciati foderati di seta verdina, leggera, piena di polvere. Sedersi per terra a gambe incrociate soffiando via quella polvere sacra, guardare i dorsi, scegliere e appoggiarsi al muro, nella luce radente di un pomeriggio d’agosto, quando nessuno la cerca e le ore davanti sono infinite, questa è felicità. Finché non giunge il momento della merenda e dei cugini, e Lina viene su di corsa per la salita, ha il permesso solo dopo finiti i lavori. Tutti si arrampicano sul bersò di carpini nodosi dai rami intrecciati, e ognuno mastica il suo pane-e-burro, o pane-e-burro-di-bagigi su un ramo diverso, perché questa è la loro legge.Ogni carpino del bersò ha solidi rami che spesso si sono fusi tra loro nei tanti anni in cui quel cerchio di piccole piante nodose è cresciuto fino a diventare una grande, magica cupola verde perfettamente rotonda, che si può girare tutta da un ramo all’altro senza scendere a terra. Ma ognuno degli alberi è di qualcuno, è la sua casa, e bisogna chiedere permesso per passare. L’albero della Bambina è il primo a destra dell’arco d’ingresso, dove i due carpini estremi si intrecciano in alto. Una volta nonna Virginia offriva il tè sotto il bersò, nelle tazze grosse di ceramica a scacchi verdi e bianchi. L’intero servizio era stato comprato in un paesino vicino a Roma, c’erano i piattini da dolce, teiera lattiera e una grande caraffa di pesante vetro verde per lo Skiwasser che la nonna offre sempre insieme al tè, «per mescolare freddo e caldo» dice sorniona, ma la Bambina sa che è perché il tè in verità non le piace molto, e va pazza per lo Skiwasser col succo di lamponi, il ghiaccio e il limone. Ma adesso è mamma Vittoria che beve l’aperitivo sulla terrazza dei glicini, e dice a tutti che tutte quelle cerimonie per il tè sono in disuso, e che un buon aperitivo con tante patatine si può benissimo prendere anche alle cinque. Spesso ci aggiunge una crostata di albicocche, o i celebri biscotti alle noci di nonna Virginia, se le riesce di farseli preparare. Ma il bersò ormai è di proprietà dei bambini. Sul tavolo rotondo di pietra nel mezzo coabitano tutti, e là si mangiano cotolette di foglie ed elisir di mirtilli, si raccontano storie e si scambiano elaborate cortesie o furibondi litigi. Lina non si arrampica mai, la sua mamma, Giulia la materassaia, gliel’ha proibito, e lei, così remissiva, è irremovibile nell’ubbidienza. Ma un giorno la Bambina, che l’ama moltissimo, e vuole mostrarle la sua bravura, le dice che sa percorrere di corsa passando da un ramo all’altro tutto il bersò. E quando arriva alla traversa alta dell’altalena, che si appoggia alla biforcazione di un ramo da una parte e a un solido palo dall’altra, le pare una bellissima idea uscire dal folto dei rami, attaccarsi ad una delle corde dell’altalena e scivolare fino a terra, come una ginnasta del circo Togni, pensa tutta fiera.Ma le mani bruciano per la velocità, la corda sfugge alle dita sudate, e la Bambina piomba per terra. Sposta con le spalle la tavoletta dell’altalena che rimbalza e la colpisce forte alla tempia. Tutti i bambini spaventati stanno intorno, e qualcuno chiama in casa. Arriva come un fulmine mamma Vittoria, arrabbiatissima, che la tira su, la scuote vigorosamente, e grida: «Ma quanto sei stupida! Adesso mi tocca lasciar qua tutto e portarti all’ospedale».La Bambina ricorda bene quanto si è sentita davvero stupida in quel momento, ma anche il senso di trionfo, poi. Papà Khayël spaventato che le telefona da Padova, tutti che chiedono come sta e le danno zuccherini. «C’è un sospetto di commozione cerebrale» sentenzia Dirce la farmacista, piccolissima e rosea, affaccendata, donna sapiente che tutti ascoltano in paese. Così la Bambina alla fine non viene portata all’ospedale, ma distesa nel retrobottega di Dirce, con una pezzuola fresca sugli occhi imbevuta di aceto, e si addormenta. Il giorno dopo è diventata il capo indiscusso di tutta la banda.
Nonno Carlo lo invidiava molto per la sua scrivania. Lui stava seduto per ore, scrivendo o sfogliando carte o il giornale, davanti alla ribaltina del trumeau veneziano, un posto per scrivere piuttosto traballante e scomodo, ma questo la Bambina non lo sapeva. Era un mobile di nonna Virginia, che diceva a tutti i bambini: «Non toccare, non appoggiarsi, girare al largo. È di quelli senza specchi, sono i più antichi».Per usare la ribaltina come scrittoio, bisognava tirar fuori il primo cassetto sotto, piccolo e piatto e pieno fino all’orlo di caramelle, sassi del Piave e altre misteriose dolcezze di nonno Carlo. E perciò, oltre a tutto il mobile, quel cassetto in particolare era proibitissimo toccarlo. Se la ribaltina era aperta appariva un mondo di cassettini, e sul pavimento di quello centrale c’era un segreto: una levetta di legno, non tanto nascosta a dire la verità, che bisognava sollevare per aprire gli altri cassettini interni, pieni di lettere, di vecchi conti, cartoline, nastri, meraviglie. Tutte le misteriose cose del nonno.La Bambina imparò presto ad aprire la parte superiore, quella dei libri. E degli odori speciali della carta ben invecchiata. Ogni libro aveva un profumo diverso, tutti la avvolgevano. I gusti del nonno. Biografie e grandi fatti di storia prima di tutto: Fouché, Napoleone, Talleyrand, la congiura di Varennes, il cavaliere d’Éon, che nessuno seppe mai se era maschio o femmina, la signora di Maintenon e la morte di Enrico IV re di Navarra e di Francia.Meno appetitose, ma col tempo divorò anche quelle, le opere di Grazia Deledda. Tutte, da Cenere a Canne al vento a Elias Portolu, e sapevano di buono: ma quelle,  il nonno non le aveva lette. Forse le aveva comprate insieme per riempire i tre scaffali, forse le aveva messe lì qualcun altro, la sua Vittorietta per esempio. E lui non voleva mai contrariarla, come non voleva contrariare la bionda, adorata Bambina. Lui tanto l’aveva aspettata, la figlia femmina dopo tre maschi, a lei perdonava tutto, «così io» disse una volta la nonna alla Bambina «ho fatto fatica doppia ad educarla, ma il buonsenso nella sua testa non sono riuscita a mettercelo. Ha un cervello pieno di semolino, la tua mamma, credi a me». La confidenza sul semolino riempì d’orgoglio la Bambina. Quando guardava la sua bellissima mamma Vittoria e cercava di spiare cosa le passava per la testa in quel momento, adesso qualche volta le pareva di riuscire a vederlo, il semolino, ondeggiante dietro i suoi occhi vivaci e battaglieri, sempre pronti a cambiare d’umore, a offuscarsi. E questo la diverte. Troppo forte per lei, incontrollabile nell’ira, eppure gentile a volte fino allo spasimo, tutti la amano.
Ma la Bambina combatte con lei da sempre, e l’ha vista il giorno della morte del nonno, e non si dimenticherà più quella mamma che si rotolava sul letto dandosi pugni sulla pancia. Ma là dentro c’era già Carlo, questo la Bambina lo sa, e ogni tanto ci ripensa, perché non sa ancora com’è che un bambino cresce nella pancia della sua mamma. E vorrebbe anche capire se il bambino cresce proprio dentro alla pancia, e come mangia, se ha i capelli e i denti, se ha freddo e se guarda fuori da quel buchino che c’è in mezzo a tutte le pance. E si guarda anche la sua, di pancia, perplessa; poi però si tranquillizza, la sua le pare troppo piccola perché ci stia dentro un bambino.Ma chiedere alla mamma non vuole, riderebbe soltanto e lo racconterebbe subito alle sue amate cugine. Vengono ogni mattina quando Khayël è già in ospedale da ore, e la circondano. Si siedono in circolo in guardaroba o in cucina, intralciando la Gigia che brontola, e prendono insieme il caffè, chiacchierano felici. Le voci acute si sentono da lontano, «è come un’uccelliera» dice sorniona Giuliana («è come il mio pollaio giù in giardino» bofonchia brusca la Gigia). La Bambina, bassetta, le pensa piuttosto come magnifiche, rutilanti streghe avvolte in scialli colorati con code arcobaleno e cappellini piumati, imprendibili nelle loro alte dimore. Ma si arrabbia vedendo quanto mamma Vittoria desideri la loro approvazione, come sia ingenua bambina nei loro confronti.
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