Santa Croce è la seconda chiesa di Firenze per dimensioni e per importanza degli arredi pittorici e scultorei. Iniziata due anni prima di Santa Maria del Fiore, nel 1294, da Arnolfo di Cambio (che già dirigeva i lavori delle nuove mura cittadine e che nel 1298 avrebbe iniziato anche il Palazzo della Signoria), la basilica, la più monumentale tra le chiese francescane, con l’annesso convento e i due chiostri, è tra i segni più eloquenti dello sviluppo della città ai tempi di Dante. È una delle cinque grandi chiese che dalla metà del Duecento in poi ridefinirono l’assetto urbanistico di Firenze. Eppure le sue fondamenta poggiano in un terreno paludoso, un tempo fuori dalla prima cinta difensiva, alla stessa altezza del letto dell’Arno. Anche per questo, nel corso dei secoli, ha subito numerose alluvioni (ben cinque nell’arco di pochi decenni dall’arrivo dei francescani) fino a quella più recente e devastante del novembre 1966 della quale il Crocifisso di Cimabue divenne suo malgrado il simbolo. Così come oggi, quello stesso Cristo, diventa il simbolo del ritorno delle opere d’arte di Santa Croce nello spazio per cui furono create.«Quella grande croce in legno dipinto – spiega Stefania Fuscagni, presidente dell’Opera di Santa Croce – è per sua natura un simbolo. Fu il primo vessillo di questa antica chiesa. Un’opera senza dubbio oltre misura rispetto alla dimensione degli edifici sacri di allora, ma forse pensata, prima che come oggetto devozionale, come testimone di un percorso, di una missione, di un impegno militante. Cristo non era più dipinto alla maniera bizantina, distaccato, regale e trionfante, ma come uomo sofferente, morente, vittima di un destino comune ad altri comuni mortali. È stato proprio il francescanesimo a far assumere a questa tipologia di croce il valore di simbolo universale della spiritualità cristiana».Nel 1966 l’imponente Crocifisso portò a compimento quella che la presidente dell’Opera di Santa Croce definisce «una missione durata sette secoli», iniziata proprio sulle acque dell’Arno che trasportarono, come si faceva allora, i grossi tronchi dai boschi del Casentino che sarebbero diventati sotto le mani di Cenni di Pepo, detto il Cimabue, «immagine tangibile di una comunità fondata su una nuova concezione dell’uomo». Attraverso le acque dell’Arno, questa volta alluvionali e limacciose, quella stessa croce diventerà «simbolo di quella che apparve come una manifestazione dell’Apocalisse. Mentre per la sua resurrezione, per il recupero di quanto fu possibile recuperare, prese nuova vita quel centro di restauro che è oggi l’Opificio delle Pietre dure, tra i più qualificati centri internazionali di restauro. E divenne quella del Cimabue l’occasione di salvezza di infinite altre opere d’arte».Per anni collocato nel Cenacolo a piano terra (sia pure con un meccanismo d’emergenza per sollevarlo) l’imponente Crocifisso è tornato ora in totale sicurezza in Basilica, nella grande Sacrestia dove sono custodite le reliquie francescane. Col capolavoro di Cimabue, altre dieci opere provenienti dal Cenacolo sono state collocate negli spazi attigui alla chiesa, nel Corridoio del Noviziato e nella Cappella Medici, a pochi passi dagli affreschi giotteschi della Cappella Bardi, «ricongiungendo a questi luoghi il significato di quelle opere che per essi erano state create».Nel nuovo percorso espositivo (che si inaugura a breve distanza di tempo dal restauro del grande ciclo murale di Agnolo Gaddi della Leggenda della Croce nella Cappella maggiore) saranno visibili tra le altre una Discesa di Cristo al Limbo del Bronzino, opera del 1552, una Madonna con Santi di Paolo Schiavo, del 1450 circa, la Trinità del Cigoli (1592), una Madonna con Bambino e Santi di Nardo di Cione, e ancora un San Bernardino di Rossello di Jacopo Franchi, un’Incoronazione di Lorenzo di Niccolò e le Deposizioni del Salviati e dell’Allori.È stato scelto simbolicamente il 3 maggio, giorno della ricorrenza della fondazione di Santa Croce (la prima pietra fu posta il 3 maggio 1294), per inaugurare la nuova collocazione delle opere restituite al loro luogo di appartenenza e per riproporre alla città di Firenze e ai visitatori da tutto il mondo quelli che a giudizio di Stefania Fuscagni sono i tre grandi significati della basilica francescana: «La messa in sicurezza delle opere, cioè la prevenzione dalle calamità come valore civico; la valorizzazione del restauro delle opere d’arte come valore artistico e soprattutto il significato religioso della croce che si fonda sulla spiritualità delle stimmate di San Francesco come restauro del profondo significato del Christus patiens che accompagna la Cristianità dal 1200».La ricorrenza nel 2015 dei 150 anni dal trasferimento della capitale d’Italia a Firenze sarà, invece, l’occasione per far vivere la straordinaria sala del Cenacolo (con il suo grande affresco dell’Ultima cena con l’Albero della vita, di Taddeo Gaddi) nella sua storica funzione di rappresentanza dei significati storici, artistici e civici dell’intero complesso monumentale.