Monti Niligiri, India, 2017. Viviamo nellultimo villaggio della tribù Toda. Siamo noi che dobbiamo preservare il nostro modo di vivere tradizionale" - Christian Tasso/Contrasto
Chi è normale? Nessuno, parola vietata, oggi. Non per rispetto degli “altri”, anzi, negare la normalità è un modo subdolo per negare la diversità. Così anche il lessico «diventa a un tratto reticente, ammiccante, vagamente sarcastico» e parlando usiamo i segni che apparterrebbero al linguaggio scritto: «tra virgolette i normali», diciamo, e ci assolviamo dal fastidio della disabilità altrui. La citazione è del grande scrittore Giuseppe Pontiggia e ben inquadra lo spirito di Nessuno escluso, volume fotografico di Christian Tasso, edito da Contrasto (Euro 29,00), in libreria da oggi.
Tasso è un fotografo di Macerata, nato come autodidatta, passato attraverso il reportage giornalistico, approdato alla ricerca autoriale. Dal 2014 a oggi ha viaggiato attraverso quindici Paesi di vari continenti per documentare attraverso la fotografia d’autore come la disabilità sia vissuta all’interno delle culture più lontane. Almeno così era all’inizio, quando in effetti «guardavo attraverso l’obiettivo e automaticamente cercavo la disabilità da mettere al centro», racconta Tasso, che oggi vive tra Ginevra e New York e ha al suo attivo riconoscimenti internazionali e mostre fotografiche nelle sedi più prestigiose. «Con il passare del tempo, il mio sguardo è cambiato e in ogni singolo ritratto ho cercato la bellezza. Percepivo con forza che la persona non è la sua disabilità, ognuno di noi è tante cose insieme, non è una sola caratteristica.Eppure quando siamo di fronte uno all’altro il nostro occhio va "lì", cerca "lì", magari con ottimi intenti di solidarietà, ma non è questo il punto: il problema è «spostare l’attenzione, come dice la Convenzione Onu sui Diritti delle persone con Disabilità, adottata nel 2006. Non è una forzatura, è una semplice verità».
Penipe, Ecuador, 2015. Vivo alle pendici del vulcano Tungurahua. So già che un giorno dovremo lasciare tutto e abbandonare questo posto per lattività del vulcano e i rischi di uneruzione. - Christian Tasso/Contrasto
Certo, il vecchio pescatore di Cuba è chiaramente privo di un arto, ma ciò che trafigge è la determinazione con cui impugna il remo. E le tre sorelle di Monti Niligiri, India, belle come principesse, sono fiere nel tenersi per mano, come a dire «o tutte o nessuna». E poi nel piccolo bar di Lezha, Albania, il giovane barista con moderni occhiali a specchio si erge in piedi dietro al banco, mentre due anziani seduti al tavolo sono assorti in chissà quali pensieri. «Sarà uno dei due», ti dici, e ancora sbagli: quelli del barista non erano occhiali alla moda e a non vedere sono i suoi occhi.
Trinidad, Cuba, 2016. Posso sentire le parti della macchina e capire i problemi dei motori solo ascoltando i loro suoni. Questo mi aiuta a realizzare un buon lavoro" - Christian Tasso/Contrasto
Torniamo alle pagine di Pontiggia, che impreziosiscono il volume: per non ammettere la diversità, neghiamo la normalità, ma è proprio così che «il bisogno della norma, allontanato dalla porta, si riaffaccia ancora più temibile dalla finestra». Quello che Pontiggia esprime con la sua solita forza spiazzante è ciò che Tasso imprime nei suoi bianco e nero: discriminare i differenti è solo l’altra faccia del negare le differenze. «Quando Einstein, per ottenere il passaporto, a domanda risponde “razza umana”, non ignora le differenze – spiega Christian Tasso – le omette in un orizzonte che le supera tutte». Così, se nei tre viaggi che illustravano il primo libro (Ecuador, Romania e Nepal) l’intento appare ancora, per sua stessa ammissione, da “campagna sociale”, lodevole ma stereotipato, il salto di qualità ora è concettuale: «Le foto di prima erano belle, ma sbagliate. Poi ho imparato, ho chiesto ogni volta al protagonista come volesse essere ritratto», racconta, «c’era chi ad esempio si riconosceva nella sua famiglia, chi nel gregge che porta ogni giorno a pascolare, chi nella sua barca di pescatore. Alla fine gli ottanta scatti sono un’opera collettiva, mia e loro insieme. In futuro vorrei tornare nei quindici Paesi e portare a ognuno il proprio ritratto, ci vorranno anni ma lo farò».
Ogni storia gli è rimasta addosso, come quella del pescatore cubano. «Avevo letto Il vecchio e il mare di Hemingway e l’ho cercato in tutta Cuba, inutilmente. Solo l’ultimo giorno l’ho visto, stava sulla spiaggia. Vuoi la mia storia?, mi ha detto, è la mia barca. Lui insegna a pescare ai giovani del villaggio», un vero leader. Come pure Manase, il masai incontrato in Kenya, «è lui il capo dell’intera comunità », racconta Tasso, che ha sì trovato tante storie di violazione dei diritti umani, ma che ha «voluto cercare solo storie positive, perché al mondo servono esempi».
Manzanillo, Cuba, 2016. Ogni giorno vado in mare - Christian Tasso/Contrasto
C’è un amico, alla fonte di tutto questo, Nicola Barchet, un imprenditore del Nord-Est padre di una bambina con sindrome di Down, non è uno sponsor, è molto di più, «è stato lui a insegnarmi che anche gli sguardi solidali possono essere dannosi. Non provo pietà verso le persone che ho ritratto, nemmeno ne faccio degli eroi, ho fermato in immagine la loro bellezza. La mia è innanzitutto un’opera artistica».
Nella Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità di due anni fa, il 3 dicembre, le foto di Tasso sono state esposte in formato gigantesco (4 metri per 4) nella sede delle Nazioni Unite a Ginevra, sotto l’egida dell’Alto Commissariato dei Diritti umani. La mostra, che in questi giorni avrebbe dovuto tenersi a Roma nella splendida cornice di Palazzo Merulana, è stata fermata dal Covid, ma a fine pandemia visiterà varie città d’Italia, perché proprio i disabili, in questo periodo, «sono i più dimenticati».