Se ne è andata una delle protagoniste della letteratura tedesca del secondo Novecento. Si è spenta, infatti, dopo una lunga malattia, all’età di 82 anni, nella sua abitazione berlinese, Christa Wolf, scrittrice che, con la caduta del Muro, era stata al centro di numerose polemiche per la rivelazione, dopo l’apertura degli archivi segreti della Stasi, di una sua precedente collaborazione informale con gli stessi servizi segreti, durata due anni, tra il 1959 e il 1961, proprio lei che negli anni era diventata una delle figure di spicco della dissidenza nella Germania Est, spiata poi per più di trent’anni in quanto considerata voce critica e scomoda.
La rivelazione era stata poi ridimensionata perchè dagli archivi della stessa polizia segreta era emerso un riserbo da parte della scrittrice tale da spingere la stessa Stasi a interrompere la collaborazione perché definita infruttuosa. La Wolf ne parla anche nel suo ultimo romanzo, La città degli angeli, più di quattrocento pagine, osannato dalla critica e uscito da qualche settimana in Italia, pubblicato sempre dalla casa editrice e/o che l’ha fatta conoscere nel nostro Paese e che ha instaurato con lei, non solo un rapporto tra editore e scrittore, ma una vera e propria amicizia, tanto che Sandra Ozzola e Sandro Ferri la ricordano come «un’amica magnifica, e una scrittrice che ci ha cambiato la vita in questi ultimi trent’anni». E aggiungono: «Abbiamo mille bellissimi ricordi di lei in Germania, in Italia e altrove, le vacanze trascorse assieme anche con il marito Gerhard, le discussioni letterarie e politiche sempre appassionate, e anche le risate e i momenti conviviali. Fin da Cassandra le sue parole, i suoi sentimenti e i suoi pensieri ci hanno profondamente influenzati e trasformati e poi l’abbiamo seguita come suo editore italiano in tutto il suo coraggioso cammino». Il nuovo libro accentra l’attenzione sul soggiorno della Wolf a Los Angeles tra il 1992 e il 1993, ospite della Fondazione Getty, una "sosta americana" che ha coinciso con la profonda crisi che si era aperta nella vita della scrittrice, proprio a causa della violenta campagna stampa che si era scatenata dopo le rivelazioni provenienti dagli archivi segreti.
Proprio contro di lei che aveva avuto un ruolo determinante negli avvenimenti che portarono alla caduta del Muro, quando era riuscita a convincere i tedeschi dell’ex Ddr a non lasciare il Paese, ma a impegnarsi per l’unificazione. Il racconto alterna gli episodi di vita quotidiana in California, gli incontri della scrittrice con gli esponenti della seconda generazione di ebrei emigrati dalla Germania negli anni Trenta e Quaranta, e il tentativo di ripercorrere le orme degli intellettuali tedeschi, da Mann, a Brecht, e Feuchtwanger, esiliati a Los Angeles durante il nazismo, quella che era stata definita la «Nuova Weimar sotto le palme». La Wolf cerca di ricostruire, attraverso una lucida autoanalisi, le tappe dell’adesione a un’idea di giustizia sociale che metteva al centro l’essere umano, e contemporaneamente una lucida riflessione su memoria e rimozione. Del resto c’è una domanda ricorrente, intorno alla quale riflette l’io narrante: «Come ho potuto dimenticare?». Christa Wolf era nata il 18 marzo 1929 a Landsberg sulla Warthe, all’epoca in Germania oggi Golzow Wielkopolski, in Polonia. Poco dopo la fondazione della Repubblica democratica tedesca, si iscrive all’Università di Jena dove conosce lo scrittore Gerhard Wolf, che sposa nel 1951. Esordisce come scrittrice all’inizio degli anni Sessanta e alla fine del 1962 appare sulla rivista "Forum" la prima stesura di Il cielo diviso, che viene poi pubblicato nel 1963, e nel ’64 riceve il premio Heinrich Mann. L’anno seguente inizia a scrivere il racconto Riflessioni su Christa T. che, con Trama d’infanzia (1976), Cassandra (1983) e Medea. Voci (1996). rappresenta una delle sue opere più importanti (che spesso si basano su riletture in chiave non violenta dei miti della classicità).
A proposito della sua Medea, in un’intervista aveva detto: «Ho cominciato a interessarmi a Medea nel 1990, lo stesso anno in cui la Ddr stava sparendo dalla storia. Ho cominciato a domandarmi perché nella nostra società tutto viene consumato e nello stesso tempo si va sempre alla ricerca di un capro espiatorio». Nel 1976 si trasferisce a Berlin-Karlshorst e successivamente a Berlin-Pankow, dove ha vissuto fino agli ultimi giorni. «Lei è i suoi libri, e i suoi libri sono lei», scrive Anita Raja, traduttrice delle sue opere in italiano, che ne mette in luce, oltre al valore letterario, anche la forte carica umana: «La sua persona sensibile, generosa, incuriosita dagli altri, ironica, appassionata, e soprattutto tesa con tutta l’intelligenza, con tutto il sentimento, a capire e a dare forma di racconto a ciò che intanto vive, fa tutt’uno con la verità, con l’autenticità del suo lavoro di scrittrice. Ogni libro di Christa che ho tradotto in italiano è diventato, tra noi due, per mesi, oggetto di discussione, un’occasione per riflettere, per apprendere. Non era solo passione letteraria. Era anche desiderio di migliorare il nostro modo di guardare il mondo. Era soprattutto bisogno di etica, ricerca di un modo accettabile di vivere».