venerdì 12 agosto 2011
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Si può fare apologetica in versi, raccontando, poeticamente, una battaglia fondamentale per la propria nazione? Certo, se ci si chiama Gilbert Keith Chesterton, tutto, nel campo delle lettere, è possibile. La Ballata del Cavallo Bianco, pubblicata da Raffaelli Editore un paio di anni fa, compie un secolo: uscì appunto nel 1911. E il Meeting di Rimini ha deciso di metterla in scena in uno spettacolo che andrà in scena lunedì 22 agosto (Arena 3D, ore 21.45) con la voce recitante dell’attore Massimo Popolizio.  Perché dunque trasformare una poesia narrativa di ambiente (e anche stile) medievale in uno spettacolo popolare durante l’affollata kermesse agostana di Rimini? «La scelta della poesia e, più precisamente, del poema non è casuale – scrive nella sua introduzione all’opera chestertoniana Marco Antonellini, quasi una risposta a tale domanda –. La narrazione in versi è infatti storicamente la forma più sicura perché la memoria di un popolo non vada perduta». La conferma, indiretta, arriva – en passant – dalle pagine di Risorgimento a memoria. Le poesie degli italiani (Donzelli), dove Amedeo Quondam ha raccolto le strofe liriche delle opere poetiche che hanno cantato il desiderio di Unità di quella che per l’impostore straniero era solo «un’espressione geografica». Dunque, Chesterton affonda il coltello della lirica nell’antica storia inglese. Il poema è ambientato nella battaglia di Ethandune, svoltasi nel 878, tra due acerrimi nemici: l’invasore straniero danese, guidati da re Guthrum, e Alfred The Great, sovrano del Wessex, che raduna intorno a sé uno stuolo di signori britannici pronti a versare il loro sangue per difendere la libertà della propria terra. E infatti la vittoria arrida agli inglesi.  Ma il contorno storico è solo un pretesto per quel grande affabulatore e filosofo in forma di narratore che rispondeva al nome di Gilbert Keith Chesterton. «Così si usa la tradizione: per proiettare la visione della storia come in un telescopio». Eccola qui la chiave ermeneutica – dataci da Chesterton stesso nella sua nota introduttiva – del testo della “Ballata”: cogliere il significato profondo delle vicende del passato nella loro fecondità per il domani. E di cosa è portatore lo scontro tra danesi e inglesi, tra Alfred e Guthrum, tra l’invasore e l’indigeno? Chesterton sente ancora il lascito del nichilismo anticristiano di Friedrich Nietzsche aggirarsi nell’Europa della belle epoque: «Senza dubbio i tuoi avi si destreggiavano con la spada, / quando uscivano rinvigoriti dalle acque passate a guado, / prima che fossero trasformati in femmine/dal dio appeso ai chiodi di Roma». Così parla ad un certo punto il re pagano Guthrum. Risuona qui l’eco delle accuse del filosofo di Così parlò Zarathustra contro il cristianesimo, la sua “etica del risentimento” e la colpa di aver “femminilizzato” la virilità dell’uomo europeo. Ma arriva ad un certo punto della “Ballata” la chiave di volta narrativa, ovvero l’incontro-scontro tra le due Weltanschauung di cui sono araldi Guthrum e Alfred, quella pagana e quella cristiana. Il primo: «Io, dunque, sono un re potente, / e devasto il mondo, ma invano / perché l’uomo non ha altro potere / che giocare a questo gioco con la morte; / può dimenticarsene per un’ora, / per poi ricordarsene di nuovo». Di contro Alfred il cristiano: «Sebbene io giaccia inerte a terra / e abbia per bastoni i sette peccati capitali, / preferisco precipitare con Adamo / che innalzarmi con tutti i tuoi dèi». E ancora, rivolgendosi ai pagani danesi: «Sebbene voi diate la caccia ai cristiani/come lepri sulla collina, / la lepre ha molta più voglia di correre/di quanta ne abbiate voi di inseguirla. […] I nostri monaci vanno col saio sotto la pioggia e la neve, / ma dentro il cuore brucia il fuoco, / mentre voi andate agghindati alle feste e tra le fiamme, / ma dentro è il ghiaccio ovunque». Insomma, Chesterton sfida i post-moderni, nipoti di Nietzsche, sul loro stesso terreno, quell’accusa di vivere in maniera “umana, troppo umana”. E al re di Inghilterra fa pronunciare una definizione del cristianesimo che resta attuale anche ai nostri giorni: «Ora prendi la mia spada, / tu che hai fatto divampare il fuoco, / perché questo è il modo dei cristiani, / la tempra del guerriero come del prete: / lanciare i propri cuori oltre le certezze / per guadagnare ciò che il cuore desidera». E del resto il tributo a Chesterton al Meeting non si isola alla “Ballata”: sono diversi gli appuntamenti che fanno da contorno a questo spettacolo. Martedì 23 una conferenza a più voci cercherà di far conoscere al grande pubblico i motivi per cui riaccostarsi a questo «difensore ricco di doti della Fede Cattolica», come lo definì papa Pio IX. Protagonisti dell’approfondimento su «Amare la realtà difendere la ragione: guardare il mondo con gli occhi di Chesterton» saranno autori che lo hanno letto tutto e ne hanno scritto di recente: Edoardo Rialti, traduttore, di cui Cantagalli ha appena pubblicato L’uomo che ride; Ubaldo Casotto, giornalista, G.K. Chesterton. L’enigma e la chiave (Lindau, in libreria da novembre), e Alison Milbank, docente di letteratura alla University of Nottingham. Non solo: al Meeting verrà presentata in anteprima il primo numero dell’edizione italiana della «The Chesterton Review», edita da una collaborazione tra «Civiltà Cattolica» e le Edizioni Lindau.
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