In questi giorni un premio dagli psicoanalisti e un libro con uno psichiatra, in una carriera da neuroscienziato cognitivo. Incarna la figura di studioso che ama le contaminazioni disciplinari Vittorio Gallese, docente di neurofisiologia all’Università di Parma, ma senza cedimenti nel rigore della ricerca. È infatti uno degli studiosi italiani più noti al mondo nel suo settore, 'padre', insieme con Giacomo Rizzolati, dei neuroni specchio.
«Sin dal principio, viviamo la nostra vita con l’altro». Così si apre il libro da lei scritto con Massimo Ammaniti. Tutti hanno un’idea intuitiva dell’intersoggettività, ma che cosa emerge dal suo studio scientifico? Perché parlate di nuovo approccio? «L’attuale visione standard della mente umana e dell’intersoggettività, quella cognitivista, è viziata da due problemi. Il primo riguarda la sua natura solipsistica: la dimensione sociale, la presenza degli altri non sono considerati aspetti fondanti. La mente è considerata una sorta di computer che manipola simboli astratti: capire l’altro non è molto differente dal risolvere un’equazione, applicare una teoria della mente dell’altro. In tutto ciò il corpo non compare, non sembra svolgere alcun ruolo cognitivo. Perciò proponiamo una visione radicalmente differente dell’intersoggettività, della sua origine evolutiva e di come si sviluppa nei bambini attraverso il quotidiano rapporto con la madre e gli altri esseri umani. Questo nuovo modello è fondato su solide evidenze empiriche degli ultimi decenni. Cervello e corpo formano un sistema inscindibile: non si capisce il cervello se lo si separa dal corpo. Inoltre, secondo il nostro modello il tema della relazione con l’altro è cruciale. Lo sviluppo dell’intersoggettività comincia già prima della nascita, all’interno del grembo materno. Dalle prime ore di vita il neonato svolge un ruolo attivo nel sollecitare e intrattenere un rapporto con la madre. Non a caso una delle illustrazioni del nostro libro presenta la bellissima
Madonna col Bambino di Artemisia Gentileschi della Galleria Spada, dove il bambino tocca gentilmente con la mano il volto della madre assopitasi per la stanchezza. L’altro grande elemento di novità consiste nel mostrare che esiste anche un accesso più diretto all’altro, in cui la simulazione delle azioni, delle emozioni e delle sensazioni altrui gioca un ruolo fondamentale. È un modello di intersoggettività relazionale, che assegna alla corporeità un ruolo centrale».
Come genitori possiamo imparare che l’evoluzione non ci abbia già 'scritto' nelle nostre tendenze e nelle reazioni istintive? «Certamente. L’espressione dei nostri geni è influenzata dall’incontro con l’ambiente. Dovremmo lasciarci alle spalle sia il meccanico determinismo genetico sia l’apparentemente netta distinzione tra natura e cultura. Le attuali conoscenze scientifiche mostrano quanto importante sia la qualità delle nostre relazioni con i nostri figli nel favorirne o pregiudicarne lo sviluppo cognitivo e psico-affettivo».
I neuroni specchio, straordinaria scoperta, sembrano dirci molto sui meccanismi di comprensione dell’altro, sull’empatia (e non tutti sono d’accordo)... Questo filone di studio di carattere neurobiologico quanto integra, confligge o addirittura sostituisce i tradizionali approcci psicologici? «I neuroni specchio, neuroni motori che si attivano sia quando eseguiamo un’azione sia quando la vediamo eseguire da altri, rappresentano in realtà la punta di un iceberg. Nel corso degli anni, sono stati scoperti meccanismi di rispecchiamento analoghi anche per il dominio delle emozioni e delle sensazioni. Il mio modello della simulazione incarnata è un tentativo di fornire una spiegazione integrata di tutti questi fenomeni. Pensiamo che questi vari meccanismi di rispecchiamento ci consentano di comprendere l’altro dall’interno e costituiscano una componente essenziale dell’empatia. Il livello di descrizione delle neuroscienze non è alternativo alla psicologia, ma indaga i meccanismi neurofisiologici che sottostanno alle nostre facoltà mentali e psichiche. Le scoperte delle neuroscienze possono contribuire però a rivedere molti concetti psicologici. Dopo la scoperta dei neuroni specchio e della simulazione incarnata, oggi sappiamo che la percezione visiva non è esclusivamente il frutto dell’attività del cervello 'visivo'. Guardare il mondo implica anche attivare il sistema motorio, quello tattile e quello limbico delle emozioni. Lo studio del cervello ci permette di descrivere meglio la nostra psicologia».
Il premio Musatti della Spi che le viene consegnato domani è un importante riconoscimento da parte della comunità psicoanalitica. Che tipo di dialogo c’è tra il freudismo e l’approccio parzialmente riduzionistico sulla mente che ha lei? O si tratta di inverare il progetto schiettamente biologistico che Freud aveva chiaro e non poté realizzare? «Freud era un neurologo, uno scienziato. Il suo progetto iniziale mirava a trovare una relazione tra psiche e cervello, ma presto si accorse che la neurobiologia a lui contemporanea non era ancora in grado di fornirgli le risposte che cercava. Così nacque la Metapsicologia. Il pensiero psicoanalitico ha continuato a evolversi dopo Freud e oggi attribuisce un’importanza crescente al tema dell’interpsichico e dell’intersoggettività. Le neuroscienze cognitive e la psicoanalisi condividono molti obiettivi: entrambe ambiscono a spiegare chi siamo con metodologie e linguaggi differenti. Il dialogo tra le nostre discipline credo sia non solo auspicabile ma necessario. Le scienze della psiche oggi non possono non confrontarsi con le neuroscienze. Allo stesso tempo, le neuroscienze cognitive non possono ridursi a una traduzione neurodeterministica della natura umana, ma devono mettere al centro della propria ricerca la pienezza dell’esistenza umana e l’esperienza che ognuno di noi ne trae. Per farlo, il contributo della psicoanalisi, così come quello della psicologia e delle scienze umane, è secondo me imprescindibile».