La ritirata di Russia, una tragedia che nell’inverno 1943 strappò alla vita e alle famiglie oltre centomila ragazzi italiani dai 18 ai 25 anni. Un martirio spesso dimenticato, una pagina di storia che nelle scuole viene affrontata con troppa fretta.Esiste su quegli avvenimenti una nutrita letteratura, a cominciare dai romanzi di Mario Rigoni Stern, ma il cinema non ha mai dedicato all’argomento un intero film (vanno ricordati però il drammatico epilogo di
Italiani brava gente di Giuseppe De Santis, del 1964, e
I girasoli di Vittorio De Sica, 1970, sul fenomeno dei dispersi). Non avere storie raccontate attraverso immagini è come cancellare un ricordo. A colmare la lacuna ci ha pensato ora un regista mantovano di 44 anni, Alessandro Garilli: suo il progetto per la realizzazione del lungometraggio
La seconda via, prodotto dall’Angelika Vision di Claudio Zamarion (che è anche direttore della fotografia del film) e riconosciuto dal Mibact (Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo) come opera di rilevante interesse culturale, e patrocinato, tra gli altri, dal Ministero delle Difesa.La sceneggiatura, scritta dallo stesso Garilli, ha già ottenuto importanti riconoscimenti arrivando anche alla finale del Premio Franco Solinas, principale concorso italiano per la scrittura cinematografica. Si racconta la storia di sei alpini e un asino dell’Armir (8ª Armata italiana in Russia) sopravvissuti agli assalti del nemico e che per evitare l’accerchiamento camminano nel deserto di neve e ghiaccio, a 40° sotto zero, in una lunga notte che li porterà verso la morte.Il filo conduttore della trama è il sogno che entra nella realtà di soldati costretti a muoversi in uno spazio sempre uguale a se stesso, un viaggio che da fisico diventa mentale e quindi metafisico, rappresentando l’unica possibilità di fuga dall’orrore.
La seconda via, appunto, dove verrà trasportato lo spettatore. «Un film di guerra che parla di pace e fratellanza nel quale dominano anche i temi dell’assenza e della privazione – spiega l’autore –: del cibo, della propria terra, degli amici, dell’amore di una madre e di una donna e della propria stessa vita; forte anche il tema dell’uomo contro l’uomo e dell’uomo contro le avversità della natura».Si tratta di una produzione indipendente che per diventare "pellicola", e poter essere distribuita nelle sale e nelle scuole italiane, ha bisogno di adeguati finanziamenti. Per questo è stata avviata una campagna di
crowdfunding che sta coinvolgendo singoli cittadini, associazioni e imprenditori. «Negli ultimi anni la Angelika Vision ha investito 150 mila euro per il progetto ma manca un ultimo passo per completare il budget – dice Garilli – e così la casa di produzione, sostenuta dall’Associazione Nazionale Alpini, ha indetto una raccolta popolare di fondi che permetterà a chi vuole di versare anche pochi euro (informazioni:
www.lasecondavia.it). L’obiettivo è distribuire nelle sale il film e portarlo anche nelle scuole». La raccolta di fondi si chiuderà il 26 gennaio prossimo, l’obiettivo minimo è arrivare a 300.000 euro. Intanto sono già stati realizzati un trailer e un documentario (un extra del futuro dvd con il film) con testimonianze dirette di reduci.La gestazione de
La seconda via è cominciata dieci anni fa con la scrittura del soggetto, che fu segnalato all’Officinema Festival, sezione Opere Prime presieduta da Giuseppe Bertolucci. Racconta Garilli: «Prima di scrivere il copione sono stato tre volte nella zona del Don e nei luoghi della ritirata in Ucraina, ho parlato con i testimoni ancora in vita e, una volta definito lo
script, ho scelto il cast tra i giovani attori dell’Accademia d’Arte Drammatica di Roma e della Scuola Paolo Grassi del Teatro Strehler di Milano».Caso strano che un giovane si occupi proprio di questa vicenda bellica… «Non ho avuto parenti che hanno combattuto sul fronte orientale, ma mi sono appassionato alla storia di quei soldati leggendo i romanzi di Rigoni Stern e il saggio autobiografico
La ritirata di Russia di Egisto Corradi, ufficiale della divisione alpina Julia, giornalista e scrittore, del quale mi ha colpito molto quel passaggio in cui dice che "nella sacca in cui il nemico li aveva rinchiusi, il tempo non esisteva, esistevano solo il buio e la luce"». E proprio da qui parte l’idea del film.Ma è stato anche l’incontro con Nelson Cenci a colpire la sensibilità artistica di Garilli, un personaggio letterario ma realmente esistito (scomparve nel 2012 a 93 anni): è l’ufficiale degli alpini che Mario Rigoni Stern ricorda così nelle prime pagine de
Il sergente nella neve: «Il tenente Cenci, sorridente, mi aspettava in piedi nella sua divisa pulita e con il passamontagna bianco risvoltato intorno al capo come il turbante di un indiano». «Sono rimasto affascinato da quest’uomo che un giorno mi sconvolse dicendo: "Parlare della ritirata di Russia significa asciugare le lacrime di tutte quelle madri che hanno atteso invano il ritorno di un figlio"».Altre letture illuminanti per il regista sono stati
I lunghi fucili di Cristoforo Moscioni Negri e
Centomila gavette di ghiaccio di Giulio Bedeschi, rifiutato da 16 editori prima di essere pubblicato ma divenuto subito un best-seller.