La concitazione del fante si riflette sull’assenza di punteggiatura del racconto: «Arrivai alla trincea tutto infangato bagnato grondante stanco morto conciato da far pietà sono 4 giorni e 4 notti che si combatte sono pieno di pidocchi sporco sudicio e puzzolente, non ne posso più... Poveretti tanti sono morti e proprio appresso davanti a me, ai miei piedi, che spaventi, che puzza di cadaveri, c’è un’aria fetida, un caldo terribile... Fortuna vi è palude e si beve acqua di mare sebbene qualche cadavere galleggia, ma colla sete mia e nostra non se ne può fare a meno. Ho molto sonno, ho la barba lunga, tanti insetti mi girano addosso, sono disperato ma pure penso a voi a casa e sono forte, sarò forte, voglio vivere... Il giorno 23 sul 24 la mattina alla una e mezza si lasciava la prima linea e si scendeva al cantiere di Monfalcone. Grande stabilimento tutto massacrato, abbattuto dalle granate».La pausa dura una settimana, ma giova agli austriaci: «3 settembre. Ieri notte da quota 89 siamo venuti nuovamente a quota 12, linea di partenza del giorno 19 agosto... 4 settembre: questa notte ho dormito tre o 4 ore qui per terra, dopo due giorni avevo il piacere di sdraiarmi un po’ poiché non ne potevo più dal sono. Oramai sono già 19 giorni di combattimento sbalottato sic a destra e a sinistra, proprio non so come vivo. Anche questa notte una granata scoppiata proprio sul baracchino dei miei portaordini ne ha uccisi 3 e uno gravemente ferito. Io sempre vivo». Quando il 7 settembre smonta dalla prima linea e si ritira a San Canziano d’Isonzo, il 142° ha avuto 101 morti e 784 feriti: per nulla, perché le posizioni non sono cambiate neppure d’un metro. Per sua fortuna la «Catanzaro» non tornerà più sul Carso, dov’era finita per punizione: «Finalmente – annota Quattri il 6 ottobre – dopo tanti sospiri e tanti sacrifici dolorosi ho lasciato il Carso, questi sassi nudi e spellachiati (sic) ove non nasce un filo d’erba e dove le granate non hanno pietà». Il mese seguente la brigata viene infatti trasferita sull’altopiano di Asiago, scampando dunque alla parte più calda dell’avanzata austriaca di Caporetto, a fine ottobre. Quattri, divenuto sergente, non se la caverà poi male: «Povera mia gioventù. Ora sto bene e sto meglio poiché in verità stetti molto peggio proprio, già più d’una volta vidi la morte, tutta la mia speranza sentivo fuggire mentre ora spero ancora, ancora penso e scrivo, vivo come vivo ma campo e attendo». In effetti per la pace ci sarà un anno da aspettare, per il congedo ancora di più: nel novembre 1918 Quattri – con una medaglia d’argento sull’uniforme – sarà fra le truppe che occupano Trieste tornata italiana. Ma la vittoria non migliora di molto la situazione: «Non credevo proprio che anche a Trieste si potesse stare tanto male, dopo tante lotte e patimenti per conquistarla. Sì, ho giocata la vita, più di una volta ho arrischiata la vita, e ho sofferto per raggiungere coi miei compagni il sogno d’Italia. Ora non dico di patire la fame ma poco manca».D’annunzio assolse i rivoltosi«16 luglio rivolta in massa del reggimento. Feriti, morti, fucilati...». Ci sono solo queste due righe, scritte di sbieco nel diario di Costante Quattri, a ricordare uno dei peggiori episodi della Grande Guerra, capitato proprio alla «Catanzaro»: la decimazione della Brigata, ammutinatasi per non tornare al fronte. Ben 28 fanti furono fucilati in quel luglio 1917, 16 dei quali erano del 142° come Quattri (tre invece gli ufficiali e 4 i carabinieri uccisi dai rivoltosi): per il nostro esercito fu l’insubordinazione più grave dell’intero conflitto. E interessò anche Gabriele D’Annunzio: il Vate infatti era acquartierato lì vicino, nel paesino friulano di Santa Maria La Longa, e pare anzi che i ribelli volessero dirigersi alla villa in cui viveva, forse per coinvolgerlo nella protesta o forse per sfogare la rabbia su di lui, che era stato uno dei più influenti interventisti. D’Annunzio volle poi presenziare all’esecuzione e lasciò una pagina in cui espresse comprensione: «Dissanguata dai troppi combattimenti, consunta in troppe trincee, stremata di forze, costretta a ritornare nella linea del fuoco, già sovversa dai sobillatori l’eroica Brigata Catanzaro una notte si ammutinò… I fucilieri del drappello allineati attendevano il comando, tenendo gli occhi bassi, fissando i piedi degli infelici, fissando le grosse scarpe deformi che s´appigliavano al terreno come radici maestre… I morituri mi guardavano... Non voglio sapere se siete innocenti, se siete colpevoli. So che foste prodi, che foste costanti».
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