Alessandro Benvenuti, attore e autore teatrale, 70 anni - Carlotta Benvenuti
«Scusi, oggi avevo una giornata molto complicata, fra un ciak e un tampone. Cosa non si fa per lavorare…». Scherza con bonomia l’attore e autore teatrale toscano Alessandro Benvenuti, dal set di Marciana Marina, sull’Isola d’Elba, dove è appena tornato sul set de I delitti del Bar-Lumedi Sky Cinema alla sua ottava stagione. A 70 anni compiuti a gennaio senza sentirli, e dopo il periodo di fermo forzato, il fondatore dello storico gruppo comico dei Giancattivi, è tornato in pista più attivo che mai. Domani sera inaugura la 74ª Festa del Teatro di San Miniato con un testo, Panico ma rosa. Dal diario di un non intubabile, scritto proprio durante il periodo di quarantena.
Alessandro Benvenuti, lei è fra i primi attori a tornare sul set. Con quale spirito?
Sul set c’è un grande ottimismo, un bel clima. Oltretutto si lavora in grande sicurezza. Sono successe delle cose strane che hanno scioccato in maniera profonda tutti. Lo vedo nei ragionamenti che faccio con le mie tre figlie e mia moglie. Io mi ero convinto che forse bastava così per me, quel che ho fatto ho fatto, largo ai giovani...
E poi cosa le ha fatto cambiare idea?
In 74 giorni di chiusura la mia unica attività era tenere un diario sul profilo del mio fanclub su Facebook. Ho trovato molto dolce di fare l’unica cosa nobile che so fare, cioè scrivere. Quando sono tornato sul set dopo tanto, mi sono trovato come all’asilo, insicuro. Mi domandavo: “ma sarò ancora capace a recitare?”. Invece, l’invito di tanta gente a fare uno spettacolo dal mio diario, mi ha fatto continuare. A San Miniato ne presenterò uno studio, mentre il debutto avverrà il settembre al Mittelfest di Pordenone.
Cosa racconta della sua quarantena?
Mia moglie ed io abbiamo avuto il Coronavirus, io da asintomatico e lei con qualche sintomo leggero: siamo stati fortunati. Racconto la cronaca del quartiere, i sogni e i ricordi dell’infanzia, i racconti di quando facevo il chierichetto, considerazioni sulla Bibbia tra il mistico e il goliardico. Pagine col sorriso ma sempre col rispetto verso il dolore. Dato che il protagonista ha quell’età in cui, se c’è da scegliere nell’emergenza, può anche essere dichiarato “non intubabile”.
Lei da ragazzo come ha iniziato? Fare teatro mi ha aiutato a moderarmi, perché sono troppo intemperante. Ho cominciato a improvvisare alle elementari: nel quarto d’ora dell’intervallo raccontavo i film di Stanlio e Ollio aggiungendo varianti alla trama. A 12 anni avevo riscritto I ragazzi della via Pal, mettendoci dentro gli amici del mio paese, Pontassieve. A 14 anni ho fato la mia prima regia a teatro, poi sono cantante di una rock band dai 18 ai 20 anni. E sono diventato un professionista a 21 anni fondando i Giancattivi.
Un gruppo che ha fatto epoca nella tv degli anni 70. Come è nata la vostra avventura?
Ci fece un provino un organizzatore fiorentino che aveva avuto l’intuizione che sarebbe tornato il cabaret: era il 1971 e il primo trio era composto da Athina Cenci, Paolo Nativi ed io. Io ho cominciato a scrivere testi e canzoni e così nac- quero i Giancattivi. Quando la Rai ci chiamo per partecipare al programma “Non stop” nel 1977, il componente del trio di allora, Antonio Catalano, ci lasciò perché la tv non gli interessava. Di corsa dovemmo cercare un sostituto.
Che fu Francesco Nuti.
Francesco, che ci ha portato tanta fortuna, è arrivato quando già avevamo il contratto. Un funzionario dell’Arci regionale toscano dove lavoravamo come operatori culturali ci presentò questo giovane di talento ancora poco conosciuto. L’anomalia del nostro gruppo, è che noi eravamo contemporaneamente sia Augusti sia clown bianchi. Ovvero, i nostri ruoli erano intercambiabili, eravamo più strutturati e potevamo fare qualsiasi cosa. Le nostre carriere da soli, dopo il 1985, hanno dimostrato che del talento ce l’avevamo…
Sia Francesco Nuti che Athina Cenci, purtroppo, si sono dovuti fermare per seri problemi di salute.
Francesco e Athina sono stati fermati dalla malattia. Athina l’ho sentita la settimana scorsa, sta bene, anche se non può più recitare. Francesco non lo vedo da tre anni, con lui è molto difficile comunicare, la situazione è molto più problematica. L’ho conosciuto nei tempi del suo male di vivere, ed è un dispiacere vedere il conto così doloroso e anticipato che gli ha presentato la vita.
La vostra era una comicità innovativa: e quella di oggi?
La Rete oggi è un mezzo nuovo e diverso e si sono molto ampliate le possibilità di chi ha talento. Quando noi abbiamo fatto tv potevamo raccontare delle storie, fare un mini atto unico anche di 15 minuti. Oggi non puoi, hai tempi strettissimi. La grande differenza è fra l’umorismo usa e getta e quello duraturo che che si basa su archetipi come il dolore, il reale, la filosofia, l’amore. La comicità è una grande lettura di quella immensa “tragedia” che è la vita, è quel vento cosciente che ti tranquillizza, ti dà u- na lettura dell’esistenza che te ne fa accettare il peso.
Ma come mai lei ha abbandonato la regia di film da ben 17 anni?
Io mi sono escluso da fiction e cinema perché mi sentivo non adatto, fuori luogo. Io ho cominciato a lavorare con grandi signori come Mario Cecchi Gori e Cristaldi. Mi sembrava di non avere più nulla da dire. Io vivo di teatro, sono un operatore culturale e soprattutto, un uomo libero. Poi all’età di 67 anni un regista come Roan Johnson mi ha scelto per I delitti del BarLume. Ormai ci sono serie tv che sono meglio del cinema. Per me è un onore e un piacere recitare in una serie semplice, ma molto amata, perché ripropone le atmosfere paesane di un’Italia che non c’è più. Nel mio ruolo dell’anziano Emo Bandinelli c’è molto di mio padre, lui era una pentola pressione con problemi alla valvola di sicurezza. La sua figura l’ho portata in scena e al cinema e al teatro, parecchie volte a partire dal Gino Gori di Benvenuti in casa Gori.
Prossimi progetti?
Il mio grande dispiacere è di avere interrotto la mia prima stagione come direttore artistico dei teatri di Siena, il Teatro dei Rinnovati e il Teatro dei Rozzi, e quella del Teatro di Tor Bellamonaca. Riprenderemo l’anno prossimo con Finale di partita: dovevo confrontarmi per la prima volta con Beckett, mio amore giovanile, così come Jonesco. È una produzione di Arca azzurra e Teatro dei Rinnovabili di Siena. Nonostante le difficoltà, noi torniamo ad investire sul teatro.