martedì 14 gennaio 2025
Il nuovo album di Eugenio Bennato, “Musica del mondo”, contiene brani dedicati a un paese calabrese, a chi arriva coi barconi e agli italiani costretti a emigrare all’estero
Il cantautore Eugenio Bennato

Il cantautore Eugenio Bennato - -

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Grande maestro della musica popolare italiana, Eugenio Bennato ha dato nuova linfa alle grandi tradizioni musicali del Sud Italia con il movimento Taranta Power, portandole nei mercati internazionali. Giunto a quasi cinquant’anni di carriera, continua ad essere un punto di riferimento per la modernità dei suoni e l’attualità dei testi, che affrontano temi cruciali della contemporaneità come le migrazioni, il rispetto delle diversità, la solidarietà, i pericoli della globalizzazione e del capitalismo estremo. Dall’incontro con storie e culture diverse nasce Musica del mondo (edito da Sponda Sud), il nuovo album del compositore partenopeo, pubblicato a sette anni dall’ultimo disco solista, Da che Sud è Sud: una raccolta di dodici brani che custodiscono l’essenza della musica popolare, dalla scelta dei temi, come il valore della diversità e la lotta per i diritti, a quella dei suoni, folk, etnici e world, sempre aperti a nuove contaminazioni. Tammorra, batterie, chitarra battente e tamburi sostengono col loro ritmo testi ricchi di umanità, che parlano di fabbriche chiuse, gente di mare, barconi in balia delle onde, degli ultimi della terra, del grande cuore di Napoli e delle bombe su Beirut. Si potranno ascoltare dal vivo nel nuovo tour a partire dal 15 gennaio dal Blue Note di Milano.

Eugenio Bennato torna con un disco “manifesto”: aveva voglia di dire un po’ di cose?

«Questi brani sono una sorta di diario di viaggio. Io ho avuto la fortuna si dall’inizio di girare molto all’estero, in questo album ho collegato i brani alle tappe di questi viaggi. Non a caso apro con Musica del mondo. L’ho scritta in India in seguito all’incontro straordinariamente attraente con il Yar Mohammad Group, band proveniente dal Rajasthan, conosciuta nel 2023 durante i concerti realizzati in India. Dopo 10 minuti eravamo già fratelli musicali: l’arte e la musica, specie la musica di matrice popolare, accomunano i popoli, nonostante i potenti tendano a dividerli in modo così feroce in questo momento».

Tante lingue si mescolano in questo suo nuovo lavoro….

«Non sono un escamotage, so-no un fatto naturale. Io tanti anni fa sono partito dai dialetti del Sud con la Nuova Compagnia di Canto Popolare, è naturale accettare i suoni di tutto il mondo nelle mie composizioni».

A proposito di Sud, il secondo brano Mongiana parla proprio di una importante fabbrica calabrese chiusa da oltre un secolo.

«Mongiana è dedicata a un paese calabrese di appena 655 abitanti la cui storia, come uno dei più grandi poli siderurgici d’Italia, è racchiusa in un piccolo museo oggi dimenticato. È eclatante che non sia conosciuta una fabbrica in cui 3000 operai lavoravano l’acciaio, nata nel Settecento grazie ai Borboni e chiusa nel 1880. Quest’estate, la mattina dopo un concerto, ho visitato il museo delle Reali Ferriere di Mongiana, ho visto questo luogo deserto dove una volta c’erano gli altoforni e gli operai. Attraverso i ritmi di una taranta calabrese racconto di una Calabria operaia, mentre oggi si è stratificato l’immaginario di una Calabria fannullona. Invece da quella fabbrica sono usciti i tiranti del ponte sul Garigliano o le rotaie della prima ferrovia, la Napoli-Portici, e i binari che proseguono fino a Bologna. La più grande soddisfazione? Il sindaco di Mongiana mi ha conferito la cittadinanza onoraria».

Un inno agli ultimi della terra è W chi non conta niente?

«È una sorta di bizzarro inno agli “ultimi” della terra, agli ultimi che mi hanno sempre attratto per la bellezza della loro arte, a cominciare dai vecchi cantori del nostro sud ai nuovi migranti di tutti i sud del mondo. Fin da quando fondai la Nuova Compagnia di Canto Popolare negli anni ’70. Eravamo ragazzi, certo amavamo il rock e Bob Dylan, ma seguendo quello che ci attraeva andavamo nelle campagne cercando la musica degli ultimi, di quelli che stavano nascosti con le loro chitarre riposte in un angolo. Oggi canto l’inno di quelli che arrivano su un barcone, che agli Stati forse creano problemi dalla difficile soluzione, ma che raccontano la voglia di riscattarsi partendo da zero. Io ne ho conosciuti tanti nei miei viaggi e li conosciamo anche in Italia».

C’è anche un’Italia solidale come canta in Torre Melissa.

«Canzone che racconta di quando all’alba del gennaio 2019 un battello di migranti si arenò sulla spiaggia della cittadina calabrese e gli abitanti, svegliati dalle grida di aiuto, si riversarono in acqua e salvarono tutti e cinquanta i naufraghi. Un episodio oggi dimenticato nella routine dei notiziari. Ma allora i cittadini non ebbero dubbi, non cominciarono a scaricarsi le responsabilità e agirono».

Si parla anche di una struggente storia di emigrazione in Limoni a Varsavia.

«La canzone è nata come colonna sonora di una favola cinematografica di prossima uscita, The Lemon Tree – L’albero di limoni di Bruno Colella e dedicata a un cuoco siciliano, folle e geniale al punto da realizzare una pianta capace di attecchire alle rigide temperature del nord Europa e di colorare di giallo limone i giardini di Varsavia».

È in fondo la vocazione della sua città, Napoli, capace di assorbire tutto?

«Welcome to Napoli è una canzone dedicata alla mia città, che, pur tra mille problemi e contraddizioni, è una città da sempre aperta all’accoglienza. La sua è una storia stratificata di arrivi e di sbarchi. Quando eravamo ragazzini si viveva a Napoli la contaminazione musicale rock dall’America dei neri, nei locali del porto suonavano Pino Daniele, mio fratello Edoardo e prima di loro Peppino Di Capri ed era tutto uno scambio».

In questo suo album risuona spesso la parola guerra, particolarmente attuale è Canzone per Beirut.

«Canzone per Beirut la scrissi nel 2007, dopo un concerto nella capitale libanese, dopo i bombardamenti. Il brano riporta una frase che lessi su un manifesto affisso sui muri della città: Can stop stars from shining, or Beirut from rising (Non puoi impedire alle stelle di risplendere o a Beirut di risorgere). Eugenia, la mia figlia più piccola che ha 19 anni, scossa dalla tragica storia del presente, mi ha chiesto di ricantarla con la sua voce, un gesto importante».

E nel disco spunta pure la sua prima nipotina, Luna

«Luna, interpretata insieme a Pietra Montecorvino, esprime l’amore incommensurabile per una nuova vita. È la ninna nanna dedicata a Luna, messa al mondo da Carola, che è la nostra primogenita, mia e di Pietra, una ninna nanna che ora serve a farla addormentare e da grande a ricordarsi di noi».

Forse è dedicata alle nuove generazioni, invece, Grande minoranza in cui critica la musica sintetica di oggi?

«Parte da una melodia popolare della provincia di Caserta, sulla quale ho inserito un testo che celebra quella minoranza del nostro tempo che è oggi presente e straripante nelle feste delle nostre piazze (vedi la Notte della Taranta), e si contrappone, per la sua scelta alternativa, alla maggioranza dominante della comunità globale».

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