Infantile, immaturo, edonista, contraddittorio, concentrato sulla propria libertà, incapace di educare se non alle nevrosi; sempre pronto a dipingere il proprio figlio come il più bello, il più intelligente, il più bravo, ma anche a delegare ad altri (asilo nido, scuola, sport, videogiochi, internet, televisione, parrocchia...) i compiti della cura e dell’attenzione... È il quadro del genitore medio fornito da Marina D’Amato, docente di Sociologia dell’infanzia presso il Dipartimento di Scienze della formazione di Roma 3 (insegna anche a Parigi 8 e all’Université Paris Descartes). Emerge, disperante e crudo, nel suo ultimo libro, che però non si occupa di padri e madri, ma di figli:
Ci siamo persi i bambini. Perché l’infanzia scompare(Laterza, pagine 175, euro 12).
L’infanzia scompare perché i veri bambini sono gli adulti?«Il libro vuole dimostrare che una caratteristica essenziale della postmodernità è un adulto infantile. Una generazione intera che fa crescere i bambini in fretta e li priva della loro infanzia, rendendoli partecipi e complici delle proprie scelte emotive, psicologiche, sociali, economiche, sessuali... Genitori che scaricano sui bambini le loro responsabilità di adulti e allo stesso tempo delegano ad altri la cura e l’educazione dei loro figli, pur continuando ad avere nei loro confronti aspettative esagerate e ansiogene».
Quale dovrebbe essere il ruolo del genitore?«Il ruolo primario di un genitore, ma anche di un adulto e di un educatore, dovrebbe essere di predisporre a un’infanzia alla quale si riconosce la non responsabilità e il tempo necessario per crescere e diventare persona consapevole. Invece oggi si attribuiscono ai bimbi ruoli di adulti in funzione del disagio che creano ai genitori restando bambini. Così le mamme si vestono come le figlie pensando di non invecchiare ed essere loro amiche. Così i padri diventano i giocattoli dei figli, impersonificano i personaggi dei cartoni... Ma un vero genitore può essere un alleato dei propri figli, non un complice o un amico...».
Con una lunga serie di contraddizioni, come lei evidenzia nel libro.«A parole gli adulti vogliono tutelare i bambini dagli aspetti immorali del proprio mondo, ma nei fatti ve li immergono fin da neonati affinché ne assorbano i princìpi e la prassi. Comprano scarpe con i tacchi alti per le figlie di 5 anni, ma sperano che arrivino vergini al matrimonio. Fanno sfilare i piccoli sulle passerelle della moda e dello spettacolo, li offrono seminudi alla pubblicità e poi si indignano contro i pedofili. Vogliono figli magri e atletici, ma li rimpinzano di cibo per sopperire alle loro mancanze. Rendono prevedibili le loro fantasie con giochi che non consentono di inventarne di nuovi. Li inondano di gadget che esaudiscono il piacere di un istante e ne motivano un altro, asservendo al mercato e alla cultura dominante...».
Adulti come adolescenti?«Sì. Anche nel modo di condividere i problemi. Nei blog le mamme scambiano foto, chiedono aiuto ad altre mamme senza rendersi conto che in questo modo espongono al pubblico ludibrio i figli con i loro capricci, i loro problemi, le loro nudità... E quei figli, da grandi, saranno svelati nell’intimità senza il diritto di tenerla celata. Nessuna di queste mamme chiede consiglio alla propria madre, ma si affidano a persone delle quali non conoscono l’affidabilità, aprendo i cuori, raccontando cose privatissime... Viene da pensare che non interessi il problema, ma la loro voglia di apparire».
E raccontano anche di quanto siano perfetti e inarrivabili i loro figli?«A questo proposito è significativa una piccola ricerca che ho fatto personalmente visitando decine di astanterie di sale parto in tutta Italia. Sui muri, sui mobili da qualche tempo compaiono le scritte dei padri e dei parenti che nell’attesa sfogano l’ansia inneggiando al nascituro e riflettendo su di esso le proprie aspettative: da "Sta per nascere miss universo" a "Forza Roma. Benevenuto piccolo ultrà", da "Sei un toro... tutte le donne ai tuoi piedi", a "Sono Giovanni, datemi il Nobel"... Così il desiderio di un figlio "capolavoro", che deve sempre avere "un di più" rispetto agli altri, trascende l’accoglienza per una nuova persona, per quello che è e per quello che deve essere aiutata a diventare».
Questa si chiama ansia da prestazione.«Basta andare ad assistere agli allenamenti o alle partite delle scuole calcio per capire. Ci sono genitori che si urlano contro e incitano i loro figli a prestazioni inarrivabili. In questo modo gli adulti predispongono i bambini a future nevrosi e forniscono a se stessi l’alibi che questa loro preoccupazione per il futuro sportivo del figlio sostituisca la cura, l’attenzione, l’ascolto necessari per la sua vera crescita. Allo stesso modo genitori sempre più performanti organizzano nel dettaglio la vita dei loro figli, delegando
baby sitter, asili nido, associazioni culturali, scuola a tempo pieno e via dicendo. Sono genitori che si preoccupano di tutto, ma delegano tutto. Del resto è molto più facile essere preoccupati che attenti. E se ci sono delle colpe queste vengono cercate negli altri: quando nella scuola, quando nei compagni di classe, quando negli insegnanti o nel mister che non capiscono le grandi potenzialità del bambino; quando nella tv o in internet che annebbiano il cervello e rendono aggressivi, ma di fronte ai quali i loro figli sono lasciati pomeriggi interi. Prestare attenzione, accudire significa farsi carico dei tempi e dei ritmi dell’infanzia; viceversa organizzare nel dettaglio la giornata dei piccoli significa definirla egoisticamente in base alle proprie esigenze, che poi funzionano come alibi in risposta ai sensi di colpa. Un po’, forse, come quelli di Rousseau, che scriveva
Emilio e aveva abbandonato i suoi otto figli in orfanotrofio, o come Maria Montessori che per vari motivi non ha cresciuto il suo unico figlio».