Il corpo materiale partecipa alla perfezione, alla santificazione dell’uomo. Perfezione e santificazione significano il ristabilimento dell’uomo nella pienezza delle sue possibilità esistenziali, in quel che l’uomo è stato chiamato a essere: immagine e gloria di Dio. Questo fine della vita umana si riferisce alla totalità dell’esistenza dell’uomo, a ciò che chiamiamo corpo e a ciò che chiamiamo spirito, per quanto di difficile distinzione siano i termini, cioè alla totalità della persona umana. È questa una verità fondamentale dell’antropologia ortodossa, che spiega anche il senso dell’ascesi cristiana e lo distingue radicalmente dalla concezione legale della virtù individuale. L’ascesi non è un atto individuale meritorio, un risultato della coerenza nell’osservanza di un qualche codice oggettivo di comportamento, un’obbedienza disciplinata a comandamenti che vengono definiti da qualche legge impersonale di autorità convenzionale. L’ascesi corporea non si limita neppure alla “mortificazione” del corpo trasformandola in un fine in sé, quasi dovesse la disprezzata materia obbedire disciplinatamente agli ordini di uno “spirito” assiologicamente superiore. L’ascesi cristiana è innanzitutto un evento ecclesiale e non individuale. È la trasformazione del modo individuale di esistenza della natura in evento personale di comunione e relazione, incorporazione dinamica nella comunità di vita del corpo che è la chiesa. L’ascesi mira alla trasfigurazione dei desideri e delle necessità naturali impersonali in manifestazioni del libero volere personale che attui la vera vita dell’amore. Così, la necessità istintiva del cibo – la fame di autonoma autoconservazione dell’individualità – si trasfigura all’interno del digiuno eucaristico in primato della sottomissione alla prassi comune della chiesa, in evento di relazione e comunione. Il cristiano non digiuna per sottomettere la materia allo spirito e neppure perché ammette una distinzione tra cibi “puri” e cibi “impuri”. Digiuna invece perché così cessa di gestire autonomamente l’assunzione del cibo, la trasforma in obbedienza nel comune volere e nella prassi comune della chiesa, sottopone le sue preferenze e scelte individuali ai canoni ecclesiastici sul digiuno i quali stabiliscono il genere di cibo. E la libera obbedienza presuppone sempre l’amore, è sempre un atto di comunione. Certo, i canoni ecclesiastici sul digiuno non esprimono una distinzione casuale o arbitraria nei cibi, ma compendiano una lunga esperienza e conoscenza dell’uomo da parte dei santi che hanno stabilito i canoni. Quest’esperienza conosce bene la ribellione della natura e sa discernere quale uso dei cibi dà o toglie vigore all’impulso autonomo di auto conservazione. In questo senso potremmo accettare ( come immagine o schema interpretativo) l’espressione che attribuisce al digiuno la sottomissione della materia alle esigenze dello spirito. Basta sia chiaro che l’ascesi ecclesiale non combatte la materia stessa, ma la ribellione dell’individualità materiale, l’impulso rivoluzionario dell’esistenza per sé. Essa tiene sotto controllo la rivolta della natura materiale, non le consente di diventare un fine in sé, una sorta di secondo fine nella creazione diverso dall’unico fine che è la realtà personale della vita, la partecipazione alla vita della comunione trinitaria. Come per il digiuno, così si potrebbe parlare anche per le altre forme dell’ascesi ecclesiale: la continenza del desiderio erotico, la partecipazione del corpo alla preghiera (le “prostrazioni” consacrate dalla tradizione monastica), gli umili atti di servizio, gli atti di obbedienza individuale, gli atti di amore fraterno e di misericordia, la sottomissione all’ordine liturgico, la partecipazione ai sacramenti. Tutte queste sono forme effettive di resistenza all’individualità egocentrica che si identifica con la carne, forme di lotta dinamica dell’uomo per trascendere gli elementi impersonali della sua natura biologica e per compiersi integralmente, attraverso la relazione con Dio e i fratelli, nella sua alterità personale che solo con l’amore può essere realizzata. E non sono forme di resistenza individuale e di lotta individuale, ma piuttosto di sottomissione dell’individuo all’esperienza e alla vita universale della chiesa. Lo sforzo individuale si trasforma in sforzo comune, il combattimento diviene evento di comunione e si inserisce nella vita del corpo ecclesiale tutto intero. Con questo contenuto l’ascesi non è diminuzione e immiserimento della vita, inimicizia per il corpo e disprezzo della materia: come l’hanno fatto apparire i vari manichei e puritani. Nella tradizione della chiesa l’ascesi è “filocalia”, amore per la bellezza della “perfezione mai compiuta” che è l’integrale compimento personale, il ristabilimento nella sua prima bellezza dell’annerita immagine di Dio nell’uomo.