domenica 13 agosto 2023
C’è bisogno di andare oltre la devozionalità per far riemergere e dare risposte al bisogno di speranza di spiritualità e verità che è di tutti
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Provocatorio fu il gesto del filosofo Diogene di Sinope, quando, interrogato sul perché andasse in giro con tanto di lanterna accesa in pieno giorno, ebbe a rispondere: «Non vedete? Sto cercando l’uomo». Anche la Sacra Scrittura dipinge un Dio sulle tracce dell’uomo: “Adamo dove sei?” (Gn 3,9). Nel 1973 Gilbert Le Mouël geolocalizzò la ricerca di Dio sull’uomo: «Quando Dio apprese dai suoi servizi segreti tutto ciò che accadeva nella metropolitana, decise di farvi una discesa per rendersi conto, di persona, della situazione» ( Dieu dans le métro). Dio s’è fatto carne in Gesù, scendendo nei gironi della nostra storia per gettare luce nel sottosuolo. Questa è “re-ligione”: un intreccio di legami con un Dio appassionato dell’uomo.

Mi chiedo spesso quale sia il compito di una editoria cattolica. Sarà quello di assecondare, fiancheggiare, tutelare un modus vivendi, uno status quo della fede oppure dovrà essere indicale, trasformativo, uno stimolo alla metamorfosi continua? Non sarà, forse il suo, un compito pensante che si connoti come profezia, come utopia, come oltrepassamento, spingendo l’esperienza della fede dal tempio alla strada e accettando il confronto col pensiero contemporaneo senza timori reverenziali né barricate ideologiche? La lettera a Diogneto ci ricorda che i cristiani sono nel mondo, ma non del mondo. Certamente non contro il mondo ma affiancando mondo, con simpatia, in vista di un Regno sostenibile. Pertanto, penso che occorra sempre più disegnare un cristianesimo che abiti gli spazi dell’umano, dove Dio appare/scompare nella radura del tempo.

Si tratta di stare nel mercato culturale con una teologia dell’incarnazione che, senza trascurare la ricchezza della sua elaborazione, sposti l’accento oltre i suoi recinti. Siamo orgogliosi della riflessione teologica: è colta, raffinata, interattiva con la filosofia e le scienze umane. Possiede un indiscusso peso scientifico. Potrebbe, tuttavia, conseguire un linguaggio più fresco, più accessibile a un laicato sempre più desideroso di gustarne la grammatica e l’energia. La “buona stampa” (così la si chiamava una volta) dovrebbe masticare l’alfabeto del metodo fenomenologico, partendo dalla condizione dell’uomo contemporaneo che si interroga, gioisce, patisce, bestemmia e si fa “cercatore di senso”. Le contaminazioni e le incursioni con letteratura, arte, poesia, teatro, cinema (vedi ad esempio la collana Àncora dei “Maestri di frontiera”) costituiranno lo “spazio dei gentili”, così come le aree antropologiche di pedagogia, ecologia, economia, tecnica, etica, fraternità universale, povertà, pace e giustizia convocheranno sinergie di intelligenza e di impegno per costruire un futuro più umano. Ospitiamo nei nostri libri i cervelli pensanti che stanno fuori dall’accampamento!

Che cosa raccontare? Il Vangelo della vita buona. Riusciremo a “bucare” lo schermo dell’indifferenza al sacro, quando l’apparato culturale cristiano non si porrà più come area della consolazione, ma come trampolino di elevazione dell’umano. Saper annunciare il bene, il positivo, il centuplo che riceviamo nell’essere cristiani: questa è la forza di credibilità contagiante degli amplificatori mass mediali. A chi annunciare? I destinatari dovranno essere certamente “i vicini”, ma anche “i lontani”, e i diffusori della fede dovranno essere «sempre pronti a rispondere a chiunque domandi ragione della speranza che è in loro» (1Pt 3,15). Per i vicini l’evangelizzazione non potrà ridursi a una “sacramentalizzazione della fede”, ma dovrà entrare a far luce sulla carne e sul sangue. Le aree dell’umano (il lavoro, la festa, la fragilità, l’affettività, la sofferenza, la morte, il destino futuro…) dovranno essere presidiate. Ci sarà bisogno di un graduale oltrepassamento del devozionalismo, per una fede di riappropriazione in una purificatoria essenzialità.

Siamo nel tempo del post-religioso, nel tempo della tecnica, della cibernetica, del metaverso, di un modello antropologico trans-umano; siamo nella stagione delle neuroscienze e dell’intelligenza artificiale. Come potrebbe l’uomo di oggi vivere una fede di semplice devozionalismo? Non si creerebbe forse una schizofrenia tra l’uomo che vive “come se Dio non esistesse” da una parte e l’uomo che si approccia al divino con una pura tradizione popolare, dall’altra? Per i lontani c’è bisogno di superare le diffidenze e di esprimere loro tanto credito. Il Cristianesimo anonimo di Rahner, secondo il quale ogni uomo è «uditore della Parola », ci invita a considerare ciascuno come già dentro un disegno di grazia. Alla donna samaritana Gesù assicura che «viene l’ora, anzi è già venuta, che i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità» (Gv 4, 23). Questa espressione di Gesù ci mette i brividi. Per la sua radicalità. Ma anche per la speranza che produce: senza stole né tuniche, ogni uomo può essere cassa di risonanza che amplifica il divino.

*direttore Editrice Àncora

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