Anticipiamo uno
stralcio di “Sottopelle. La storia, gli affetti”, l’autobiografia di
Pietro Barcellona da domani in libreria per Castelvecchi (pagine 360,
euro 22,00). Nel volume il filosofo Barcellona, scomparso lo scorso 6
settembre, ripercorre la storia italiana contemporanea intrecciando le
vicende del Paese con episodi del suo vissuto quotidiano e con
considerazioni sulla modernità, dal suo impegno politico alla
conversione.L'Europa non sa parlare più a se stessa e tantomeno riesce a comunicare con il resto del mondo gli antichi principi, che ne hanno fatto un luogo privilegiato dello spirito, nonostante guerre e tragedie umane immense come la Shoah. Abbiamo costruito templi e castelli, palazzi di governo e piazze e adesso ci ritroviamo sommersi da moltitudini frettolose, che riempiono ogni luogo di una falsa festosità. Come è stato scritto, anche le nostre passioni sono diventate tristi e ciò che l’uomo occidentale non riesce più a rappresentarsi è proprio quella letizia, di cui parlava san Francesco nella rappresentazione dell’intreccio tra gioia e dolore. Per questo, la prima ragione per la quale ho sentito una immediata attrazione per papa Francesco è stata quell’espressione di essere stato preso «alla fine del mondo» e l’ho intesa come: «Vengo nell’Occidente europeo a iniziare una storia che comincia da un altro mondo». Il mondo dell’America Latina, che è stato per la rappresentazione occidentale un luogo di colonizzazione, sottosviluppo, dittature, è in realtà irriducibile all’Occidente. E non già per questi fenomeni di superficie, certamente rilevanti, ma perché esprime nella vita delle popolazioni una «antropologia» assai diversa da quelle occidentali. Intendendo per antropologia ciò che gli uomini di un gruppo sociale pensano di se stessi, non c’è dubbio che l’Occidente abbia inventato l’Io e il «soggetto proprietario dell’oggetto-natura » che, dopo la cacciata dal paradiso, si è posto come il re del mondo, signore e padrone di tutte le cose che si trova di fronte, dalla Terra agli animali, alle persone. La declinazione dell’esperienza che ciascuno fa anche delle relazioni più intime prende le mosse sempre dall’Io che si propone come il protagonista assoluto della propria vita. Anche quando si parla delle cose più intime, dell’amore e dell’amicizia, è sempre l’Io che compie il primo passo e stabilisce le forme e i modi del rapporto con l’altro, che in realtà è sempre un alter ego. Nell’America Latina, invece, per misteriose ragioni, forse anche legate a inevitabili mescolanze con le popolazioni indigene e per l’enorme presenza di foreste e pianure, di montagne e valli che sovrastano il territorio, si è sviluppata un’antropologia della relazione, una dimensione del gruppo sociale come costitutivo della convivenza e come luogo privilegiato per la formazione dello stesso individuo. Ho un nipote argentino e ho ospitato per lunghi periodi messicani e brasiliani. Sono stato sempre colpito dalla dolcezza del loro carattere e dal loro rapporto con le cose. Non un rapporto possessivo e utilitaristico, ma l’atteggiamento di chi deve custodire ciò che è stato creato e che appare disponibile alla sua affettività. Conservano una particolare attitudine a organizzare con gli ospiti incontri conviviali, dove bere e mangiare non è puro e frettoloso consumismo, ma lento assaporare i gusti del cibo. Si esprimono musicalmente, hanno un rapporto con gli strumenti popolari, che danno un timbro sonoro anche al muoversi della gente nei centri urbani. Non abbiamo mai voluto capire che l’America Latina è un’altra civiltà rispetto all’Occidente civilizzato, che oggi vive in una sorta di irreligiosità naturale. Nel popolo del continente latinoamericano è ancora diffuso un sentimento religioso della natura. Papa Francesco nelle sue prime manifestazioni, almeno a quello che appare guardando i filmati, è uscito dal tempio ed è entrato tra la folla, cercando un contatto fisico con le persone che non ha precedenti. Nei suoi discorsi, l’insistenza sulla custodia del creato e sulla tenerezza verso il mondo suona già come una discontinuità rispetto a tutte le nostre speculazioni teoriche sul surriscaldamento della terra e sulla possibile svolta ecologica dell’economia. Custodire il creato è un’espressione che ti fa sentire immerso in una specie di sentimento oceanico, dove ti senti parte di ciò che devi custodire e non soltanto un padrone che amministra con più prudenza i propri beni. Il riferimento alla povertà può essere inteso, come sta accadendo, come una sorta di ritorno alle correnti pauperistiche, che hanno attraversato la Chiesa. La scelta del nome Francesco dà invece alla rappresentazione dei poveri un’altra intonazione. Non si tratta di fare beneficenza e di esercitare più o meno gratuitamente la carità verso i malati e i diseredati, ma, al contrario, di assumere la loro condizione come il punto di partenza per vedere il mondo con altri occhi. Il povero, anche quando si trova nelle condizioni più drammatiche e nella privazione di cibo e di cure, incarna colui che non ha niente da difendere, che – come scriveva Marx – ha soltanto le catene che gli altri gli hanno imposto. Il povero è colui che non ha niente da difendere e perciò è in una condizione di apertura psicologica per accogliere. Il povero è il simbolo di una possibile società dell’accoglienza. La povertà non si deve compensare, ma condividere nello spirito della predicazione di Cristo: solo chi è capace di perdere la vita potrà salvarsi e ritrovarla. Si formeranno leggende e mitologie su questo Papa e, purtroppo, il sistema mediatico ne farà occasione di dibattiti più o meno dotti fra credenti e non credenti. Ma se una volta tanto l’arroganza occidentale, nonostante la nostra miseria attuale, riuscisse a capire il messaggio che chiede una vera e propria conversione non sacramentale ma di vita pratica, molte cose nuove potrebbero accadere [...]. L’Occidente, che sta collassando in forme persino regressive come il razzismo e il populismo, ha toccato il fondo proprio per il ritorno massiccio dell’ingiustizia e della menzogna. Lo stesso scarto fra politica e vita quotidiana è la conseguenza del disprezzo verso le realtà popolari e della delega a un’élite arrogante e autoreferenziale. L’elemento diabolico che ha pervaso lo spirito occidentale è l’idolatria del denaro e del successo, che ha ridotto tutta l’esperienza umana alla coppia elementare amico-nemico. Riusciamo a trovare sempre il colpevole dei nostri guai e delle nostre difficoltà, ma non riusciamo più a trovare forme di comunione di vita che ci diano la forza di reagire collettivamente alle nuove tecniche di dominio della mente e del corpo. Il grande vuoto dell’Occidente consiste nel non essere riuscito a superare la coppia amico-nemico, e a costruire un paradigma dell’amicizia e della fraternità, che diventasse il vero collante dei gruppi umani.