È uno dei simboli di Trieste. E in qualche modo dell'Unità compiuta dell'Italia. Venne costruito alcuni anni dopo la Grande guerra ma a questa è profondamente legato. Stiamo parlando del Faro della Vittoria, che riapre le porte ai visitatori.
A guardarlo dall'esterno, con le
8.500 tonnellate ripartite lungo i quasi 68 metri di altezza che
si concludono nell'alata Vittoria, e ad osservare, con il buio,
il fascio di luce tra i più potenti al mondo, visibile fino a
oltre 35 miglia di distanza, ci si aspetterebbe che il cuore del
Faro della Vittoria rispondesse alla stessa possanza che imprime
la visione del Marinaio Ignoto, vigile e fiero nei suoi otto
metri di pietra.
Invece, quello del Faro è un cuore piccolo: ad irrogare tanta
luce è una lampadina alta quattro centimetri e sottile quanto un
dito. Non si è mai spenta, ma il Faro tornerà dal 26 aprile ad
aprire le sue porte ai visitatori. Certo, la lampadina, a
dispetto delle dimensioni, esprime una potenza di 1.000 Watt. Il
torace che racchiude e protegge questo cuore è l'ottica, che ne
decuplica la forza. L'ottica è una struttura rotante in
cristalli su supporto di metallo non fissata ma galleggiante su
un bagno di mercurio che ne assicura orizzontalità e
verticalità.
È la lanterna, il piano più alto del Faro, da dove si domina
la città. Per la delicatezza dei congegni e per l'incolumità
delle persone, quest'area non sarà accessibile ai visitatori,
come disposto dal Comando Marina Fari di Venezia (che fa capo
alla Marina Militare). Che potranno salire fino alla terrazza
appena sotto la lanterna, godendo uno splendido e ampio
panorama. La visita sarà inserita nei percorsi della Grande
Guerra (in base a una recente Convenzione, la Provincia di
Trieste ne gestirà l'apertura al pubblico).
L'idea di costruire il Faro venne in mente a un amico di
quello che sarà il realizzatore dell'opera, l'architetto
triestino Arduino Berlam, mentre era sfollato a Bologna, subito
dopo l'affermarsi della resistenza sul Piave, come riporta
Marino Zerboni nel testo "Il Faro della Vittoria". Berlam la
fece propria e dedicò parecchi anni della sua vita a lottare per
affermare il progetto, tra detrattori nemici e convinti
sostenitori.
Benché non citato nei discorsi inaugurali davanti
al re Vittorio Emanuele III e messo da parte, Berlam, che per
l'opera aveva pagato di tasca sua anche 20mila lire, riuscì
tuttavia nell'intento: dopo quattro anni di lavori il 24 maggio
1927 il faro "più perfetto e interessante d'Italia" fu
inaugurato.
Era costato 5.625.000 lire ed era stato costruito
nel complesso dell'ex forte austriaco Kressich, con parti
realizzate anche in Cecoslovacchia, a Napoli (la calotta della
lanterna) e altrove. Con la dea Nike a svettare sulla cupola,
celebrava la vittoria dell'Italia nella prima guerra mondiale e
il "conseguente ritorno delle Terre irredente alla Madrepatria",
in onore dei caduti sul mare.
Della I Guerra mondiale porta, inoltre, un ricordo ben
visibile, sul lato che dà sul mare: l'ancora del
cacciatorpediniere Audace, che il 3 novembre 1918 attraccando
sul Molo San Carlo segnò il ricongiungimento di Trieste
all'Italia.
Nel Faro, carico di tanti simboli e ricordi, la
tecnologia avanza lentamente: sono occorsi 50 anni perché vi
venisse installato un ascensore (nel 1968, in occasione del
50/ario della "redenzione" della città), e qualche altro
decennio perché vi arrivasse l'elettronica. Non tanta: quella
sufficiente a controllare il corretto funzionamento della
lanterna, sostituendo anche il sistema a contrappeso (una sorta
di carica come per gli orologi a pendolo che durava 12 ore) con
uno più comodo e non meccanico.