martedì 13 giugno 2023
Nuove, inattese, scoperte nella Grotta del Romito dimostrano che ha ospitato comunità per molti millenni, da 24.000 anni fa sino al II millennio avanti Cristo
Grotta del Romito

Grotta del Romito - archivio

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Nuove, inattese, scoperte nella Grotta del Romito, il sito preistorico in località Nuppolara, nei pressi di Papasidero, in provincia di Cosenza. Si tratta di resti umani collocati in un piccolo anfratto adiacente alla caverna principale, una sorta di sepolcro collettivo usato dalla comunità che viveva in quel riparo roccioso a partire da 24mila anni fa e della cui vita sono rimaste evidenti tracce come nove scheletri umani e manufatti in pietra, osso e corno che permettono di ricostruire l’ambiente, la quotidianità, le abitudini alimentari, la cultura e l’economia dei gruppi di cacciatori, “raccoglitori” e artigiani di utensili che abitarono lì dal Neolitico fino all’età del bronzo.

Gli altri scheletri e le ossa di Homo sapiens recuperati nei giorni scorsi saranno oggetto di studi multidisciplinari secondo le più moderne tecnologie, comprese le ricerche sul Dna. Alcuni crani verranno inviati in un laboratorio specializzato negli Stati Uniti per poterne studiare il cervello. Lungo la stessa parete rocciosa è stato individuato di recente anche un altro stanziamento preistorico che sarà oggetto di studio nei prossimi anni. “Questi nuovi ritrovamenti dimostrano che lo stanziamento umano preistorico non era limitato alla sola Grotta del Romito e che il piccolo e stretto canyon nel quale essa si apre ha ospitato comunità per molti millenni, da 24.000 anni fa sino al II millennio avanti Cristo” spiega il professor Fabio Martini, dell’Università di Firenze, direttore del Museo e dell’Istituto fiorentino di preistoria, che ha coordinato le ultime campagne di scavi.

La Grotta del Romito, scoperta quasi per caso da un anziano pastore circa sessant’anni fa, è aperta al pubblico con visite guidate. Nel sito si possono vedere reperti litici e faunistici e scoprire cose interessanti sui paleolitici che ci vivevano. Come è stato dimostrato dalle ricerche effettuate dagli archeologi fiorentini Paolo Graziosi (il primo a occuparsene) e Fabio Martini e dalle loro équipe, infatti, i membri di quella comunità possedevano uno spirito empatico e una propensione all’inclusione sociale che ha portato alla cura di soggetti disabili i quali hanno potuto sopravvivere a lungo in quell’ambiente impervio dell’aspra montagna calabrese svolgendo un ruolo di servizio.

Come nel caso di un individuo affetto da nanismo deceduto in età adulta i cui resti sono stati ritrovati qualche anno fa e divenuti oggetto di studi scientifici a livello internazionale: sarebbe stato, infatti, una specie di sarto che usava i denti per tagliare le pelli di animali utilizzate poi come vestiti per la “famiglia”. L’incavo più importante del sito di Papasidero è contraddistinto dalla famosa incisione Bos primigenius, impressa su un grande masso all’entrata, una sorta di “stemma” della comunità di cavernicolicacciatori che abitava in quella zona, a due passi dal mar Tirreno ma nascosta tra la fitta vegetazione e i boschi dietro il Pollino. La “pittura rupestre” rappresenta un ”uro”, enorme bovino domestico estinto in Europa nel XVII secolo.

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