Un garbuglio giuridico, prima ancora che politico, dal quale si può uscire con due mosse: stralciare il controverso capitolo sulla
stepchild adoption per trattare la materia nella sede più appropriata, ovvero la riforma delle adozioni; riscrivere il testo depurandolo dai continui rimandi al diritto matrimoniale, per togliere il velo d’ipocrisia che lo avvolge e renderlo finalmente aderente al dettato della Corte Costituzionale in tema di unioni civili. Lo spirito di quel pronunciamento, infatti, è quello di attribuire un riconoscimento alle unioni tra persone dello stesso sesso, tenendole però ben distinte dalla famiglia fondata sul matrimonio e sancita dalla Costituzione. Così Cesare Mirabelli, presidente emerito della Consulta, torna a riflettere sul ddl (ex) Cirinnà che il 26 di questo mese approderà in aula al Senato. E ne mette in evidenza tutti i dubbi di costituzionalità.
Presidente, ora il dibattito è concentrato esclusivamente sul nodo della stepchild adoption, l’adozione del figlio del partner da parte di uno dei componenti di una coppia omosessuale. Si rincorrono polemiche e proposte.Vede qualche tesi convincente?Il problema è che non si tratta dell’unico nodo da sciogliere, ma del coronamento di un’impostazione che assimila, in un certo senso identifica, l’unione civile al matrimonio. La previsione dell’adozione del figlio del partner rinvia non a caso alla legge del 1983 sulle adozioni dei minori.
L’argomentazione più utilizzata dai sostenitori di questa pratica è che la tutela del minore deve venire prima di tutto. Dissento, lo spirito non è quello di tutelare il minore. Attraverso questo sistema, infatti, si consente sì l’adozione del figlio, anche adottivo, che una delle due persone già aveva, ma anche l’adozione del figlio che l’altro partner in qualche modo 'si procura'.
Per esempio con la pratica della maternità surrogata, ovvero l’utero in affitto. Esatto. Perciò, guardando le cose nella loro vera sostanza, senza veli ideologici né di altra natura, chiedo: che cosa si vuole? L’interesse del minore o permettere a una coppia omosessuale di 'procurarsi' un figlio?
Tra le ipotesi di queste ore c’è quella di consentire la stepchildsolo per i figli nati prima dell’entrata in vigore della legge. È una soluzione che potrebbe determinare altri tipi di difficoltà, a cominciare dalla disparità di trattamento davanti alla legge, in violazione dell’articolo 3 della Costituzione. Direi, piuttosto, che la soluzione migliore è quella di verificare e valutare quale potere di rappresentanza e di cura il partner non genitore ha effettivamente nei confronti del minore. Purtroppo mi sembra che nell’attuale contesto politico non ci sia alcuna voglia di approfondire e trovare strade adeguate, senza ricorrere a schemi già esistenti. Si sostiene addirittura che il partner non possa, attualmente, andare a prendere a scuola il figlio dell’altro componente della coppia... Siamo seri e cerchiamo di evitare ipocrisie: l’obiettivo reale è soddisfare l’interesse dei due partner di 'completare', in qualche modo, la loro unione solidale e affettiva con un bambino che sia considerato loro figlio.
E se decidesse il giudice civile di volta in volta, in base alle situazioni particolari, come accade nelle separazioni tra coniugi?Non mi sembra una buona idea. Occorrerebbe piuttosto stabilire linee ben precise, anche considerando che il giudice civile mostra assai spesso la vocazione di fare lui il legislatore. Anzi, qualche volta s’impegna in uno sprint per battere sul tempo il legislatore o per spingerlo a prendere decisioni in una determinata direzione. La soluzione migliore sarebbe stralciare questo punto dal disegno di legge e inserirlo, in maniera meditata, nel contesto proprio, ovvero la disciplina delle adozioni. Tra l’altro, ciò consentirebbe la verifica a 360 gradi di quelle che sono le situazioni e l’interesse del minore. Ora, invece, la presenza stessa nel testo sulle unioni civili rivela chiaramente che il tema è trattato nell’interesse degli adulti.
C’è chi ipotizza di sostituire la stepchild con una forma rafforzata di affido. Sarebbe in linea con la Costituzione? Certamente non lo sarebbe se, come nella versione attuale, si scrive 'unione civile' e si legge 'matrimonio'. Se invece vi fosse una differenza concreta, regolare la questione diversamente non sarebbe lesivo del principio costituzionale di uguaglianza. La Corte Costituzionale, del resto, ha affermato che è doveroso disciplinare questo tipo di formazione sociale, ma che questa non rientra nello schema del matrimonio previsto dall’articolo 29 della Carta.
Quindi l’affido rafforzato, in mancanza dello stralcio, sarebbe il male minore? Un momento, anche qui bisogna essere estremamente chiari. L’affido del minorenne in genere è una situazione transitoria determinata dalla difficoltà della famiglia di svolgere il proprio ruolo. Ma nel caso dei figli di uno dei partner di un’unione civile, non stiamo parlando di minori in stato di abbandono o bisognosi di un ulteriore paternità o maternità. La situazione cambia quando il genitore muore e il bambino, che ha un rapporto consolidato con l’altro componente della coppia, deve trovare una tutela. Tuttavia in questo caso lo strumento è già previsto dalla legge: se vi è un rapporto stabile e duraturo precedente alla perdita del genitore, potrà esserci anche l’adozione. Però si tratta di un caso particolare, con i limiti che questa adozione prevede.
Più in generale, il ddl sulle unioni civili contiene numerosi rinvii alle norme sul matrimonio. Pur depurato da alcune espressioni dirette del precedente testo della medesima Cirinnà, è davvero un’operazione continua di rimando al matrimonio.
Ma abbiamo appena detto che la Consulta non ha sentenziato in questo senso... Diciamo che il ddl si allontana molto dal dettato della Corte Costituzionale. E dalla previsione della Costituzione.
Come tornare al rispetto di questi due requisiti? Sarebbe il caso di riscrivere la legge in materia più appropriata, senza demonizzare assolutamente le unioni solidaristiche affettive, senza giudicare in nulla l’atteggiamento delle persone, ma anzi attribuendo il rilievo che la Costituzione richiede. Sono formazioni sociali che vanno appropriatamente disciplinate, stabilendo norme in materia patrimoniale, di reciproca assistenza, di successione ereditaria. Ma per fare tutto questo non c’è bisogno di inventare un matrimonio con un’etichetta diversa.