Solidarietà, partecipazione, famiglia, sussidiarietà, giustizia sociale, vita... La lettura di lettere, appelli e manifesti diffusi alla vigilia del voto da un gran numero di associazioni e movimenti che esprimono decine di migliaia di laici cattolici è un viaggio alle radici del progetto unitario europeo così come fu concepito dai padri fondatori, e insieme una boccata d’ossigeno al termine di una campagna elettorale italo-centrica e avvelenata dalle polemiche e da toni esacerbati. Ciò che emerge dal giro d’orizzonte di questa pagina (che segue e completa quella pubblicata nell’edizione di domenica 18 maggio) è il bisogno di riscoprire e rilanciare la visione dell’uomo che è dentro l’identità stessa dell’Europa – casa comune di popoli e culture accomunate da un’origine profondamente cristiana – e del suo futuro. Di qui l’invito al voto che esce da tutti i «manifesti».
Comunione e liberazione: "Ritroviamo la spinta degli inizi così si rimetterà al cento la domanda sull'essere umano". È possibile un «nuovo inizio» per un’Europa dove lo scetticismo e la rabbia sembrano prevalere a danno della tensione a costruire? E in nome di cosa si può rimettere mano a un edificio europeo vissuto come qualcosa che ci riguarda da vicino? A partire da questi interrogativi Comunione e Liberazione ha prodotto un documento di lavoro diffuso in decine di migliaia di copie in scuole, università, luoghi di lavoro, quartieri e parrocchie. È evidente, si legge, che «non abbiamo più la stessa consapevolezza della profondità del bisogno umano che avevano i padri fondatori, è venuta meno una spinta ideale ed è diventata dominante una logica di puri interessi». Questo ha prodotto conseguenze anche sul funzionamento dell’istituzione Europa: gli organismi comunitari sono cresciuti su se stessi, spesso gonfiandosi a dismisura e generando un mostro tecnocratico che piega la realtà alle proprie esigenze. Da dove ripartire? Dalla posizione che ha generato l’Europa nel secondo dopoguerra, quando gli egoismi nazionali hanno lasciato spazio al desiderio di mettere insieme i rispettivi interessi gettando le basi per una pace di lungo periodo. Si è così constatato che l’altro è un bene, non un ostacolo per la pienezza del nostro io, e che questo vale nella politica come nei rapporti umani e sociali. Per superare la percezione di un edificio europeo autoreferenziale è necessario che gli organismi comunitari si strutturino nella prospettiva della sussidiarietà, valorizzando e sostenendo ciò che costruisce e si muove nella direzione del cambiamento, ed evitando l’illusione che le risposte provengano dall’alto. Un’Europa che capisse questo non praticherebbe solo austerità ma anche solidarietà in economia, non si ripiegherebbe su nazionalismi irrealistici e antistorici, non si chiuderebbe all’immigrazione, non promuoverebbe una legislazione volta a spezzare tutti i legami coltivando l’ossessione per i "nuovi diritti" dei singoli avulsi dal dato naturale e dall’appartenenza a una comunità, non avallerebbe l’ostilità alle fedi, in particolare a quella cristiana, tradendo proprio ciò che l’ha costruita e resa grande. L’apporto del cristianesimo è anzitutto l’educazione a guardare la realtà in tutti i suoi fattori e quindi a recuperare l’impeto ideale originario. Questa è la vera emergenza con cui ci si deve misurare oggi. «Se non sarà sorda a tale richiamo – conclude il documento – l’Europa potrà rinascere e così sperare di tornare a essere il "nuovo mondo", esempio e modello per tutti. Il contributo che una rinata cultura europea può offrire a tutto il mondo è il riporre al centro la domanda su cosa fa sì che un essere umano sia e si senta tale».