sabato 12 maggio 2012
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Gentile direttore,
la lettera che le hanno inviato dall’Agenzia delle Entrate merita forse una replica anche da parte di un contribuente “non congruo” ma spero fedele (con tutte le leggi e gli enti che ci sono in Italia non puoi mai sapere se paghi tutte le tasse e i balzelli!). Avendo tre figli che frequentano scuole pubbliche non statali, può immaginare il costo annuale delle rette (che non sono deducibili dal reddito). Siccome le scuole paritarie sono sottoposte a controlli molto rigorosi sui locali, sul personale, nel tempo l’osservanza scrupolosa di queste normative ha incrementato le rette. In sintesi: lo scorso anno tutto il reddito di mia moglie operaia metalmeccanica part-time non è bastato a coprire il costo delle rette scolastiche! Come fa la famiglia a mantenersi con il mio solo reddito? Abbiamo un’auto di 20 anni e molte biciclette, usiamo la legna per scaldarci e cucinare; cerchiamo di risparmiare in tutte le spese superflue da ben prima che iniziasse questa crisi, e per grazia di Dio non abbiamo debiti. Crediamo molto nel valore dell’educazione e pensiamo che sia il miglior investimento possibile per i nostri figli e per tutta la società. Dalla crisi si può uscire solo con l’investimento in capitale umano! Ora cosa fa lo Stato nelle vesti dei funzionari pubblici? Considera la nostra famiglia covo di potenziali evasori (senza star qui a ricordare le promesse sul quoziente familiare che sarebbe un’altra forma di sviluppo economico, di fisco equo e di restituzione della fiducia a tante persone). È vero che le leggi non le fa l’Agenzia delle entrate ma sono stati i funzionari pubblici a inserire tra gli indicatori del cosiddetto redditometro le rette scolastiche per “fotografare” la capacità di spesa della famiglia. Per uscire dalla crisi occorre restituire fiducia e non creare uno Stato burocratico di controllo.
Pierpaolo
 
 
Gentile direttore,
a proposito della questione dei controlli dell’agenzia delle entrate a chi manda i figli nelle scuole non statali, vorrei sottolineare i seguenti tre punti: 1) non è un Paese totalmente libero quello in cui una famiglia è costretta a pagare due volte l’educazione dei propri figli, una con le rette e l’altra con le tasse che vanno a finanziare anche le scuole statali di cui non usufruisce; 2) non è un Paese efficiente quello in cui la scuola di stato costa il doppio di quella promossa da privati; 3) non è un Paese giusto quello in cui non sono previste detrazioni fiscali, come invece avviene in tutti i Paesi europei, per chi decide di avere figli, li mantiene e li fa crescere apportando di fatto una ricchezza al Paese. Concludo ringraziandola per l’attenzione che pone all’argomento e spero che nel riformare la nostra Italia l’attuale primo ministro Monti e i successivi pongano il tema del quoziente familiare come questione prioritaria, qual è, per lo sviluppo civile e per la ripresa economica del nostro Paese. Riuscirebbero così al contempo a rilanciare i consumi e a risollevarci dall’umiliante condizione di essere in lizza per diventare il Paese più vecchio del mondo!
Giovanni Kirn, Rho (Mi)
 
Gentile direttore,
condividiamo pienamente quanto da lei espresso a proposito dell’ingiustizia in merito all’inserimento della retta delle scuole paritarie nelle voci tenute sotto controllo da parte dell’Agenzia delle Entrate per rilevare eventuali evasori fiscali. Il punto è infatti che non solo non viene riconosciuta la scuola paritaria come servizio pubblico a costo (quasi) zero per lo Stato (come di fatto è), bensì risulta che le famiglie che in tali scuole mandano i figli a costo di duri sacrifici sono tre volte penalizzate perché da un lato sostengono mediante le tasse la scuola statale non usufruendone, dall’altro pagano la retta della scuola paritaria e in più sono per questo tenute sotto controllo dal fisco. Questo è frutto evidentemente di una lettura distorta della realtà! Io con mio marito abbiamo mandato il nostro primo figlio nella scuola statale, ma l’esperienza fatta ci ha portati a cambiare strada per la pochezza non tanto di mezzi quanto di desiderio... ci sembrava che il massimo per i bimbi avvenisse quando a scuola tutto filava liscio senza intoppi. Perciò, pur non avendo grosse disponibilità, ci siamo imbarcati nell’avventura di mandarlo in una scuola paritaria in cui ciò che sta a cuore è il bene per il bambino, che è diventare grande e felice. Questo a costo di grossi sacrifici, tagliando tutte le spese familiari possibili, ricevendo talvolta aiuti dai nonni e chiedendo alla scuola stessa di venirci incontro quando proprio non ce la facciamo. Da settembre il nostro secondo figlio comincerà anche lui la scuola e non sappiamo se riusciremo a sostenere questa spesa per tutto il ciclo scolastico (io tra l’altro lavoro come precaria della Pubblica Amministrazione) ma abbiamo fiducia nella Provvidenza e crediamo che l’educazione dei figli valga tutti i sacrifici possibili perché in fondo loro sono il futuro di tutti noi. Mi stupisce come il nostro Paese di questo non si accorga... anzi faccia di tutto per ostacolarlo!
Erica e Fabrizio
 
Gentile direttore,
ho seguito la discussione sul tema controlli fiscali alle famiglie con figli che frequentano scuole non statali. Ho tre figli che frequentano o hanno frequentato scuola primaria e secondaria di primo grado presso un istituto paritario. Per me il costo dell’istruzione ha rappresentato un investimento. Abbiamo due redditi da impiegati e, pur senza grandi sforzi, abbiamo preferito rinunciare ad altre spese. Detto questo, e fatto salvo il dato di fatto di una palese iniquità di chi è costretto a pagare due volte per l’istruzione dei figli, ritengo che chi non ha nulla da nascondere non abbia nessuna difficoltà a “giustificare” le spese scolastiche. È sufficiente utilizzare strumenti di pagamento tracciabili. Sono convinta che in un periodo come questo, in cui finalmente sembra che sia iniziata un’azione seria di contrasto all’evasione, possa destare qualche sospetto il voler contestare l’inserimento delle rette per le scuole non statali (peraltro di importi non trascurabili), tra i 100 “indicatori” di reddito. Concentriamoci piuttosto nel continuare a spiegare (come fa Avvenire) che la scuola pubblica è fatta per legge da un sistema integrato di gestione statale e non statale e che la giustizia più grande sarebbe quella di dare alle famiglie un’effettiva libertà di scelta educativa per i loro figli. La saluto con stima.
Susanna Bertola, Parma
 
Le vostre argomentate lettere, amiche e amici cari, confermano che è arrivato – anzi è scaduto da un pezzo – il tempo di agire secondo giustizia anche nel fondamentale settore della “scuola di tutti”, che secondo la legge in Italia è statale e non statale paritaria. E mi esentano dal dovere di ripetere cose già scritte molte volte e del resto illustrate, proprio oggi, con grande forza cronachistica alle pagine 2 e 3. Aggiungo solo una nota in risposta alla preoccupazione della signora Susanna. Non temo minimamente che qualcuno possa “sospettare” nostre oblique simpatie per l’evasione fiscale. Abbiamo affrontato e affrontiamo in modo tanto limpido e forte tale questione che chi s’avventurasse in una simile polemica o nutrisse tali retropensieri dovrebbe fare, del tutto inutilmente, i salti mortali per sostenere questa tesi. L’appello a chi fa le leggi e detta le regole è molto semplice: controllate tutto ciò che merita di essere controllato in chiave anti-evasione, ma togliete quell’indice di sospetto che oggi punta sulle spese per l’istruzione dei figli. Non è essenziale nella battaglia anti-evasione, riduce a “lusso” (in linea con una certa ostile vulgata) la libertà educativa delle famiglie e, molto semplicemente, offende tanta buona gente. Se non accadrà, non cascherà il mondo. Ma sarà la prova che un’ingiustizia continua e riesce persino ad aggravarsi.
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