Anche sugli alimenti si sta combattendo da alcuni anni in Europa la solita lotta tra logica del rigore e logica dell’interesse collettivo. Da un lato la Germania, sostenuta da Svezia, Regno Unito, Danimarca, Finlandia, Repubblica Ceca e Austria, contraria persino al rifinanziamento per il 2012 e 2013 del Programma Ue di aiuto agli indigenti (Pead), che consente di sfamare 18 milioni di europei.Dall’altro, Italia, Francia e Belgio consapevoli che senza l’aiuto alimentare di Bruxelles, i loro enti caritativi che distribuiscono cibo ai bisognosi sarebbero costretti a chiudere. Dopo un lungo braccio di ferro però, a fine 2012, l’Ue ha dato il via libera a 500 milioni per gli indigenti fino a dicembre 2013 (all’Italia spettano 98 milioni).Ma dal 2014 si cambia regime. Per ora è chiaro che nel programma di aiuti ai Paesi membri sino al 2020 sono stati inseriti in extremis 3,5 miliardi per gli indigenti, dopo che il Parlamento ha bocciato la proposta di ridurli a 2,5 miliardi avanzata dalla Commissione europea.Fondi tuttavia gestiti non nell’ambito della politica strettamente alimentare, ma della coesione sociale. Questo significa che dovranno trovare spazio anche esigenze che esulano dal bisogno primario (come politiche di welfare), con il timore di innescare una "guerra tra poveri". A ridurre il budget di ogni Stato, poi, anche l’aumento del numero dei Paesi, saliti da 20 a 27. Intanto sullo sfondo resta l’obiettivo, sempre più lontano, della Strategia Europa 2020 di far uscire dalla povertà almeno 20 milioni di persone entro 7 anni.