Il grande traghetto che collega la costa toscana con l’Isola del Giglio passa accanto alla nave Concordia e approda nel porto. In estate scarica folle di turisti, ora lascia scendere il dolore muto di tre volti scolpiti nella stessa smorfia di dolore. Sono la madre, il padre e la sorella di Erika Soriamelina Fani, la giovane peruviana che faceva parte dell’equipaggio e di cui non si sa più nulla. Arrivano spaesati dall’altra parte del mondo in quest’isola che nemmeno sapevano esistesse. Scortati da forze dell’ordine e squadre di soccorso, si infilano in una delle tende della Protezione civile, da cui usciranno ore dopo con una nuova rabbia negli occhi: forse gli hanno detto che le speranze sono sempre più sottili. «Questa tragedia è successa per colpa di un uomo», dice d’un fiato il padre, come se nello sfogo con i giornalisti potesse stemperare il senso di un’ingiustizia subita e insopportabile. «La mia ragazza non si trova e il comandante Schettino è già a casa sua». Non se ne andrà fino a che non sarà ritrovata, «viva o morta». A sera torna sulla terraferma con la sua famiglia, e il traghetto sfiora di nuovo lo scafo sdraiato nei pressi del quale, da qualche parte, c’è sua figlia, forse nell’acqua nera, se è vero, come ha saputo da testimoni, che la sua scialuppa si è rovesciata. E un’altra notte passerà. «Queste cose succedono solo in Italia», sbotta anche un ragazzo indiano. «Sono qui per mio fratello», dice, e la legittima speranza sfocia nell’utopia: «Perché tutti gli altri indiani dell’equipaggio si sono salvati? Solo lui risulta disperso, dunque magari è stato accolto dagli isolani, forse è ferito, forse ha sbattuto la testa e non ricorda... Sono qui per cercarlo». A Bombay lo aspettano una moglie e un bimbo di tre anni.Oscilla ancora il numero dei passeggeri mancanti, nessuno sa dire quante vite quella nave si sia portata via, e non basta la buona notizia di una donna tedesca rintracciata in Germania per far tirare il fiato. Passa frettolosamente una giovane donna, il volto distrutto dal dolore, e non occorrono conferme ufficiali quando ipotizziamo che sia la mamma di Dayana, la bimba di cinque anni sparita insieme al papà. È lei? Chiediamo a un uomo delle Fiamme Gialle, che non risponde ma ci guarda fisso e scuote la testa: «Povera anima, una ragazzina così piccola... E non si trova proprio, chissà in che diavolo di parte sta di quella maledetta nave».La chiesa del Giglio suona le campane, è quasi l’ora della Messa. Don Lorenzo Pasquotti è in piedi sulle scale, non ha più chiuso le porte dalla sera di venerdì, quando dal mare ha visto arrivare migliaia di naufraghi e ne ha accolti a centinaia. «Avevo panettoni e caramelle, poi ho cercato coperte, vestiti, tutto. Gli ultimi sono arrivati verso le 3 della notte, erano i ragazzi dell’equipaggio», loro davvero non avevano abbandonato la nave. Sono passati i giorni ma la chiesa dà ancora ricovero e consolazione. Josè, 50 anni, messicano del Texas, è qui per pregare: «È la sola alternativa all’odio». Lui non era dell’equipaggio, era un turista della Costa. Ma ancora non se n’è voluto andare.