«Il calcio questa volta non c’entra niente...», è stato l’ultimo urlo nella notte della grande schifezza romana, quella che ha chiuso la “finale della vergogna” di Coppa Italia, poi vinta dal Napoli sulla Fiorentina. Infatti il calcio, il tifo vero per la squadra del cuore, nelle Curve dei nostri stadi («i più vecchi e insicuri d’Europa», altro mantra mandato a memoria) è stato bandito da un pezzo. E gli unici a non essersene ancora accorti sono quelli del Palazzo del pallone e a seguire quelli del Governo che, dalle tribune vip, sventolano i loro biglietti omaggio e il vessillo della retorica demagogia che invita puntualmente alla «tolleranza zero».Intanto a chi voglia a stare nelle regole, munendosi di tessera del tifoso (invenzione fallimentare e prossima alla pensione anticipata) evitando di portare striscioni offensivi all’interno dello stadio, tappandosi la bocca quando qualcuno intona cori razzisti o antisemiti. Il tifoso vero e sano, la maggioranza silenziosa, è stata definitivamente sconfitta in diretta tv sabato 3 maggio, in quella stessa Curva Nord, dove il 28 ottbre del 1979 un colpo partito una pistola lanciarazzi (proveniente dalla Sud) uccise il tifoso laziale Vincenzo Paparelli. Primo “martire” della violenza da stadio di Serie A. Ma stiamo parlando della preistoria dei movimenti ultrà. Negli anni ’70-’80 appartenere a quei primi gruppi di facinorosi era quasi una condizione politica da “extraparlamentare”. «Negli anni ’90 fino a poco tempo fa esisteva ancora una politica della Curva e non il fare politica in Curva», sottolinea il responsabile di “Mondiali antirazzisti” e dell’ex “Progetto Ultrà” (Uisp) Carlo Balestri. Attualmente gli ultrà censiti in Italia sono 41mila (divisi in 388 gruppi) di cui 8.500 farebbero parte di una sessantina di gruppi “politicizzati”: 45 di estrema destra, 15 di estrema sinistra ed altri misti. «Il condizionale è quanto mai d’obbligo, in quanto la geografia del popolo delle Curve è talmente cambiata e frammentaria da richiedere un censimento aggiornato, mentre quello sopra a me pare un dato fermo al 2000», continua Balestri. Il dato certo e inquietante, è che sono raddoppiati gli arresti dei tifosi (da 65 dello scorso anno agli attuali 102) e quasi mille risultano i denunciati, tra i quali figurano anche i condannati al Daspo (divieto di ingresso allo stadio fino a cinque anni). Un daspato è quel Daniele De Santis, detto “Gastone”, ex ultrà della Roma, ora accusato di tentato omicidio ai danni del tifoso napoletano Ciro Esposito, scampato d’un soffio alla morte. Nel curriculum di De Santis c’è il ruolo di ambasciatore inventa-pene (la finta morte di una bambina) nel famigerato derby romano del 2004 in cui le due Curve da sempre divise, di comune accordo, al coro minaccioso di «sospendete la partita» imposero lo stop al match, con la conseguente guerriglia urbana contro le forze dell’ordine. «Scene che non si dovranno più vedere nei nostri stadi», tuonarono all’indomani le eminenze grigie del Paese che dovettero ribadire la loro sterile indignazione il 2 febbraio del 2007. Altro giorno della vergogna del calcio nazionale, quello della morte dell’ispettore di Polizia Filippo Raciti, caduto durante gli scontri del dopo derby Catania-Palermo. Uno dei condannati per la morte di Raciti, è quell’Antonino Speziale (all’epoca minorenne) per il quale vive e lotta - per la sua libertà - l’oramai famigerato Gennaro De Tommaso. L’ultrà napoletano che è assurto a simbolo di una criminalità che si è insediata e controlla la maggior parte delle Curve dei club metropolitani (da Napoli fino a Torino, isole comprese) attraverso lo spaccio di droga all’interno dello stadio, la vendita del merchandising griffato delle società, quella dei biglietti, la gestione delle trasferte e non ultimo il mercato delle scommesse. Del resto “Genny la carogna” è figlio di Ciro DeTommaso “O’ ciccione“ o “la carogna senior”, nipote di Giuseppe De Tommaso, alias l’“Assassino”. Un figlio d’arte di boss alle dipendenze dei Giugliano di Forcella e dei Misso del Rione Sanità. Non è sempre detto che le colpe dei padri ricadano sui figli (Ciro De Tommaso è stato condannato in primo grado a 24 anni di carcere con l’accusa di associazione camorristica), però lo spregiudicato Genny è un mastino del San Paolo, il capo indiscusso dei “Mastiffs” (inglesismo che maschera i cani scioltissimi della Curva A). Trattativa o meno, tra la dirigenza napoletana e i propri ultrà presenti all’Olimpico, è assodato che la camorra in Campania controlla il movimento, dalla Serie A fino alla Lega Pro (vedi Salernitana-Nocerina, interrotta per le intimidazioni degli ultrà nocerini ai loro giocatori) arrivando fino ai dilettanti, dove le uniche voci dissonanti - per questo minacciate - sono la Nuova Quarto per la Legalità e l’Asd Scampia, fondata da don Aniello Manganiello. La realtà supera la fantasia, basti pensare alla vicenda di Salvatore Lo Russo, capo dell’omonimo clan arrestato a Nizza, che da latitante si concedeva il lusso di assistere alle gare interne del Napoli direttamente da bordo campo. A Palermo erano di dominio pubblico le relazioni pericolose dell’ex bomber rosanero Fabrizio Miccoli che al telefono con Mauro Lauricella (figlio di Antonino, capomafia della Kalsa) venne intercettato mentre proferiva oltraggioso: «Quel fango di Falcone...». Miccoli in lacrime si dichiarò pentito, cosa che non fecero alcuni ultrà palermitani autori dello striscione «No al 41 bis» contro il regime di carcere duro per i boss mafiosi. Stadi, dunque, in mano alla camorra in Campania, alla mafia in Sicilia, mentre la ’ndrangheta dalla Calabria sconfina fino alla Curva dello Juventus Stadium, dove il clan Rappocciolo detterebbe la linea ad alcuni capi ultrà bianconeri. «Ma a Brescia, come a Bergamo, pur se i rispettivi capi ultrà hanno avuto problemi con la giustizia, non risulta che mafia o camorra controllino le Curve», dice Balestri, il quale è uno strenuo sostenitore dell’inefficacia dell’inasprimento delle pene per i reati da stadio. Genny il napoletano di Daspo ne aveva avuti due eppure sabato era lì sulla balaustra dello stadio Olimpico. «I Daspo a vita e la galera in fragranza di reato ci sono già, solo che spesso non vengono applicati o sono inspiegabilmente revocati e, comunque, si è visto che non risolvono il problema – continua Balestri –. Quello che manca da noi è, invece, un piano socioeducativo come i “Fan project” adottati in Germania. Ovvero, operatori di strada con competenze professionali riconosciute che hanno creato una nuova cultura sportiva lavorando a stretto contatto con i tifosi e permettendo così alla Bundesliga di passare da una media di 24mila spettatori fino all’attuale di 40mila». In Italia è accaduto l’inverso e ora servono soluzioni immediate. «La parte giuridica contro la violenza da stadio spetta al Ministero dell’Interno, ma quella socioeducativa, deve essere affidata a quello dello Sport e dell’Istruzione – conclude Balestri –. I club a loro volta, rispondendo alla normativa Uefa già in corso, rendano istituzionale la figura dell’addetto alle relazioni con i tifosi che qui da noi è ancora non reale».