Dalla contrapposizione alla contraddizione. Per individuare la cifra della manifestazione di oggi, organizzata dalla Cgil a Roma, i consueti schemi sindacali non bastano più a sintetizzare la complessità dei rapporti.Certo, alla base della mobilitazione c’è sempre la prova di forza, il tentativo di mostrare che il "popolo" è in piazza contro il Palazzo, che è pronto a far muro per far cambiare strada al governo. Ma quando, come in questo corteo, a sfilare sono per la gran parte le stesse persone che hanno da sempre sostenuto e da ultimo votato in massa alle elezioni europee il principale partito della coalizione di centrosinistra, rafforzando così il mandato plebiscitario del suo leader, il cortocircuito appare subito in tutta la sua evidenza. E ancora, come non avvertire la contraddizione di una manifestazione alla quale prenderanno parte pure alcuni dei maggiorenti del Pd? Gli stessi che, sconfitti nella direzione del partito, hanno poi votato la fiducia al governo sulla contestata legge delega di riforma del lavoro, salvo poi voler/dover sfilare oggi coi vecchi compagni.Quella che riempirà piazza San Giovanni, dunque, è una folla che, prima ancora di avere un obiettivo sindacale preciso, pare alla ricerca di se stessa. Ritrova la propria identità in un simbolo fortemente evocativo come la difesa dell’articolo 18 contro i licenziamenti, ma nel contempo non pare avere né la forza né gli spazi per costruire o anche solo favorire un’alternativa di governo. Con buona pace di Nichi Vendola che ancora ieri cercava di accelerare (e intestarsi) la proclamazione dello sciopero generale e di quanti, come lui, si illudono di poter riaggregare una sinistra movimentista di un certo peso intorno alla Fiom e al suo leader Maurizio Landini (ieri significativamente il M5S si è tirato fuori dalla partecipazione alla manifestazione). Il sindacato oggi è – dovrebbe essere – troppo impegnato a fare il proprio mestiere nelle fabbriche che chiudono o si trasformano, negli uffici sempre più vuoti che lasciano il posto alla parcellizzazione del lavoro individuale autonomo, per poter pensare di intestarsi un ruolo da forza motrice di un cambiamento politico. Proprio ora, poi, che la politica sta riprendendosi il primato della "rappresentanza" a forza di riforme, più o meno riuscite, ma che al Paese offrono finalmente l’idea di un movimento, persino di un’ultima speranza che pochi paiono disposti a sacrificare sull’altare di vecchie liturgie e di finte sicurezze.Ciò non significa che la manifestazione di oggi non sarà un "successo" dal punto di vista organizzativo e di partecipazione. Così come si arriverà certamente alla proclamazione dello sciopero generale da parte della Cgil. Un "atto dovuto": per tradizione e per evitare spaccature all’interno della stessa confederazione. Ma questa sorta di "coazione a ripetersi" rischia sempre più di essere un esercizio sterile – come ha giustamente sottolineato la leader Cisl, Annamaria Furlan – se l’obiettivo sarà quello di una contrapposizione radicale e non un’azione mirata ad accompagnare il cambiamento con una propria proposta e partecipazione attiva.La contraddizione, dunque, come segno distintivo della manifestazione a Roma. Ma che rischia di caratterizzare pure la riunione alla Leopolda, se nell’ex stazione di Firenze si prendesse sul serio lo slogan del ministro Maria Elena Boschi: «Qui si riunisce un’altra Italia». Una distinzione quasi antropologica, dopo quella ornitologica dei gufi, tra il cambiamento e l’immobilità, tra la modernità pensante e il passato resistente, che non tiene conto delle sofferenze e delle legittime paure che caratterizzano tanta parte della società. Certo, per cambiare davvero "verso" all’Italia, per fare quella "rivoluzione" che molti vorrebbero, è necessario superare d’un balzo le sacche di resistenza passiva. E bene ha fatto finora il premier Renzi a rompere molti schemi consolidati sul Parlamento, il lavoro, la manovra e da ultimo l’Europa. Ora, però, occorre evitare di umiliare con un tweet chi porta altre ragioni e soprattutto non pensarsi "altro" da una parte della società.La costruzione di un partito, al tempo stesso democratico e dalla vocazione maggioritaria, non può che puntare sul confronto, la massima inclusione, il coinvolgimento di massa in un progetto ideale. Qualsiasi cosa di diverso suonerebbe a sua volta come una contraddizione.